L’intolleranza al lattosio è una delle più comuni forme di intolleranze alimentari; una metanalisi, infatti, stima che la sua prevalenza, a livello globale, sia pari al 68%. I tassi di prevalenza sono più bassi nei paesi del nord Europa e raggiungono picchi nei paesi asiatici ed in Africa.
Attenzione a non confondere l’intolleranza al lattosio con l’allergia alle proteine del latte vaccino: l’intolleranza al lattosio è una condizione che si manifesta per la carenza dell’enzima che digerisce questo composto e può comparire in età diverse (dalla prima infanzia all’adolescenza), l’allergia alle proteine del latte vaccino, invece, è una reazione mediata dal sistema immunitario nei confronti delle proteine del latte vaccino e, tipicamente, si manifesta entro il primo anno di vita.
Il lattosio è uno zucchero, un carboidrato semplice, e più precisamente un disaccaride ossia una molecola formata da due monosaccaridi: il galattosio e il glucosio, legati da un particolare legame chimico. È il carboidrato maggiormente presente nel latte vaccino e degli altri mammiferi e rappresenta una componente importante del latte materno (fornisce circa il 30-40% del fabbisogno energetico di un neonato). L’assunzione di lattosio sembrerebbe ricoprire un ruolo chiave durante i primi mesi di vita, per la sua capacità di modulare positivamente il microbiota intestinale.
Il nostro organismo è in grado di assorbire gli zuccheri a livello dell’intestino tenue, nel tratto detto “digiuno”, ma perché ciò possa avvenire, le molecole devono essere scomposte in monosaccaridi. Questi penetrano nelle cellule della mucosa intestinale, gli enterociti, e da qui passano nel circolo sanguigno. La scomposizione del lattosio in glucosio e galattosio, avviene ad opera di un enzima specifico: la lattasi. Si tratta di una ß-galattosidasi, ovvero un enzima la cui funzione è quella di rompere il legame tra glucosio e galattosio. Dopo l’azione della lattasi, il glucosio e il galattosio vengono rapidamente assorbiti dalle cellule intestinali e utilizzati per vari scopi dall’organismo.
In caso di mancanza o carenza della lattasi, il lattosio non viene digerito propriamente e non può essere assorbito a livello cellulare, perché non correttamente scomposto. Il lattosio non assorbito raggiunge, quindi, intatto il colon, dove viene fermentato dai batteri che vivono in quel tratto, con produzione di gas (idrogeno, anidride carbonica e metano) e acidi grassi a corta catena. Questo si traduce in sintomi quali gonfiore e dolore addominale, crampi e/o sensazione di eccessiva pienezza dopo i pasti, flatulenza e nausea. Inoltre, la permanenza del lattosio nell’intestino induce il richiamo di acqua al suo interno, con conseguente diarrea.
Il lattosio, come intuibile, si trova principalmente nel latte e nei suoi derivati: yogurt, burro, panna, formaggi, specie quelli freschi, gelati e creme a base di latte. Ma non solo! Il lattosio può essere aggiunto come additivo in diverse preparazioni alimentari, allo scopo di migliorarne la consistenza o il sapore; ad esempio si può trovare in: insaccati, salse, margarine, prodotti da forno e piatti pronti in generale.
Alimento | Lattosio (g) per 100 g |
Latte di mucca intero | 4,7 |
Latte di mucca scremato | 4,8 |
Latte privo di lattosio (delattosato) | <0,1 |
Latte di capra | 4,5 |
Yogurt | 3,0 |
Panna | 3,6 |
Gelato | 6,4 |
Formaggio fresco spalmabile | 3,0 |
Formaggio a pasta dura (tipo Cheddar e Gruyere) | 0,3 |
Tratta da: Misselwitz B, et al, Gut 2019
Rispetto al latte, i derivati come yogurt e formaggi, possono avere un minor contenuto di lattosio a seconda del metodo con cui sono prodotti. Lo yogurt, per esempio, subisce un processo di fermentazione ad opera di specifici batteri (Streptococcus thermophilus e Lactobacillus bulgaricus), i quali sono provvisti di lattasi e in grado di digerire fino al 50% del lattosio presente nel latte di partenza. Inoltre, grazie alla sua consistenza densa e viscosa, lo yogurt contribuisce a rallentare lo svuotamento dello stomaco e il transito del suo contenuto verso l’intestino; di conseguenza, il lattosio non digerito raggiunge il colon in maniera più graduale, con una maggiore tollerabilità. Anche altri prodotti caseari fermentati, come i formaggi stagionati, presentano livelli di lattosio trascurabili e possono, quindi, essere consumati senza problemi anche da chi è intollerante. Questo è dovuto sia ad un’azione diretta dei microrganismi responsabili della fermentazione, che metabolizzano il lattosio, che all’attività dell’enzima lattasi, rilasciata nell’alimento dai batteri stessi.
Leggi anche: I cibi fermentati hanno dei benefici per la salute?L’intolleranza al lattosio è una condizione che dipende dalla mancanza o carenza di lattasi, l’enzima che lo digerisce. Questa può essere dovuta alle seguenti situazioni.
L’ipolactasia, la deficienza primaria di lattasi, è la condizione più frequente nella popolazione ed ha interessanti risvolti dal punto di vista evoluzionistico. L’espressione della lattasi, ossia la sua produzione da parte del gene che la codifica, è soggetta nell’uomo ad un meccanismo programmato per variare in base all’età. La lattasi inizia ad essere presente sulle membrane dell’intestino già nel feto, a partire dall’ottava settimana di gestazione, e la sua attività aumenta progressivamente fino a raggiungere il picco con la nascita; comincia poi a decrescere dopo alcuni mesi di vita del neonato, fino ad esaurirsi tra i 2 e i 5 anni. Questo meccanismo avviene in maniera naturale in tutti mammiferi, ad eccezione dell’uomo: una parte considerevole della popolazione, infatti, ha continuato a mantenere inusualmente l’espressione della lattasi (persistenza della lattasi) anche durante la vita adulta, a seguito di particolari mutazioni a carico del gene che codifica per l’enzima.
Si ipotizza che questo adattamento sia legato all’abitudine dell’uomo di addomesticare il bestiame e, di conseguenza, di consumare il latte e i suoi derivati. Ciò avrebbe stimolato l’evoluzione del microbiota intestinale, che si sarebbe popolato di batteri lattici capaci di fermentare, e quindi scomporre, il lattosio, trasformandolo in acido lattico. Le mutazioni genetiche responsabili della persistenza della lattasi sarebbero state, quindi, trasmesse in modo differente nelle diverse popolazioni del pianeta. Si osserva, infatti, una distribuzione dell’intolleranza al lattosio molto variabile su scala globale, con popolazioni che si sono adattate a questo “meccanismo evolutivo” come quelle del nord Europa (paesi scandinavi e Gran Bretagna), che hanno bassissime percentuali di intolleranza al lattosio, ed altre invece che non hanno acquisito questa capacità, in particolare le popolazioni asiatiche ed africane in cui si può arrivare addirittura a percentuali di intolleranza di anche più del 90%. In Italia si ritiene che la non persistenza della lattasi, ossia la riduzione della sua espressione nell’intestino, sia comune nel 56% degli individui. Sebbene la frequenza di questa caratteristica nella popolazione sia abbastanza elevata, bisogna comunque precisare che da un punto di vista funzionale, per un’adeguata digestione del lattosio, la presenza di almeno il 50% della normale attività della lattasi è sufficiente, grazie al supporto della digestione ad opera dei batteri intestinali. Si può, infatti, assistere, in risposta all’introduzione continua di lattosio, ad un adattamento della flora batterica intestinale, per cui viene favorito il proliferarsi di batteri che hanno la capacità di digerire il lattosio tramite la produzione di enzimi del tipo ß-galattosidasi
Leggi anche: Microbiota intestinale e alimentazioneLa soglia di intolleranza al lattosio varia significativamente tra i soggetti ed è dipendente da diversi fattori, tra cui:
I sintomi dell’intolleranza al lattosio, sia negli adulti che nei bambini, possono essere molto variabili in base alla sensibilità di ciascun soggetto.
I sintomi più comuni sono di pertinenza intestinale come:
Spesso si possono presentare anche diarrea, nausea, vomito e, in una minore percentuale di persone, anche costipazione.
Meno comuni, ma spesso riportati dagli intolleranti al lattosio, anche sintomi extra-intestinali, come mal di testa, fatica a concentrarsi, dolori muscolari o articolari.
Dal momento che i sintomi dell’intolleranza al lattosio sono di per sé piuttosto aspecifici e sovrapponibili a quelli di altre patologie con manifestazione intestinale (es. celiachia, sindrome dell’intestino irritabile, malattie infiammatorie intestinali etc.) il processo diagnostico ha un ruolo essenziale nell’identificare correttamente questa condizione.
Il test del respiro o breath test (da hydrogen breath test), è la metodica di scelta per avere una diagnosi di intolleranza al lattosio, in quanto consente di ottenere informazioni ragionevolmente affidabili sulla funzione digestiva e sui sintomi del paziente.
Il test è basato sulla misurazione della quantità di idrogeno espirata dopo l’ingestione di una dose standard di lattosio. Il lattosio non assorbito nell’intestino è fermentato dalla microflora intestinale, che determina produzione di gas, tra cui idrogeno, che è in parte escreto attraverso i polmoni. Il test è positivo quando i livelli di idrogeno rilevati nel respiro alla fine del test, superano quelli iniziali (prima dell’ingestione di lattosio) e risultano oltre la soglia stabilita di 20 ppm (parti per milione). Contemporaneamente ai livelli di idrogeno è possibile monitorare i sintomi: solo chi riporta fastidi addominali, unitamente all’aumento dei livelli di idrogeno nel respiro, può essere definito “intollerante al lattosio”.
Oltre al test del respiro è disponibile anche un test genetico per individuare la predisposizione all’intolleranza al lattosio. Il test indaga la presenza delle mutazioni genetiche che determinano la non persistenza della lattasi, ossia la sua mancata produzione nell’intestino. Tutto ciò che viene richiesto al paziente è fornire un campione biologico di saliva o di sangue venoso. È più rapido e meno fastidioso del breath test ma ha costi più elevati. Il test genetico permette di distinguere tra l’intolleranza primaria (ipolactasia dell’adulto) e l’intolleranza secondaria, causata da altre patologie che danneggiano la mucosa intestinale. L’esito del test genetico va interpretato ed inquadrato in base alla sintomatologia e alla storia clinica del soggetto. Infatti, la positività a questo test non è sufficiente a determinare se i sintomi sperimentati dipendano effettivamente dall’ingestione di lattosio. Solo con il test del respiro è possibile confermare la diagnosi di intolleranza primaria al lattosio.
La terapia per l’intolleranza al lattosio consiste semplicemente in una riduzione o eliminazione del lattosio dalla dieta, che porterà alla scomparsa dei sintomi. Nella maggioranza dei casi, non è necessario seguire una dieta rigorosamente priva di lattosio: molti soggetti, infatti, possono tollerarne piccole quantità senza avere sintomi. Questa quota può variare da individuo a individuo ma si è osservato che, in media, risulta ben tollerata una quantità intorno ai 12 g di lattosio, l’equivalente di 250 ml di latte.
Latte e derivati senza lattosio (come yogurt, formaggi freschi, ricotta, budini etc.) sono facilmente reperibili in commercio e considerati sicuri per la salute. Si distinguono dai prodotti non delattosati per il loro sapore leggermente più dolce, dovuto all’azione degli enzimi che scindono il lattosio in galattosio e glucosio. La presenza di questi monosaccaridi, infatti, porta a percepire maggiormente il gusto dolce, senza che si modifichi, però, il contenuto di zuccheri totali dell’alimento.
Inoltre, nonostante la produzione della lattasi non sia stimolata dal consumo di lattosio, è stato riportato, in letteratura scientifica, che l’assunzione regolare di alimenti contenenti anche piccole quantità di lattosio, possa migliorarne la tolleranza attraverso l’adattamento del microbiota intestinale. Ciò che si verifica è una rimodulazione della composizione dei batteri dell’intestino, in favore di quelle specie che possiedono l’enzima lattasi e sono, quindi, in grado, di digerire il lattosio.
Infine, negli ultimi anni è sempre più diffusa la vendita di farmaci contenenti lattasi, prodotta in laboratorio a partire da funghi o lieviti. Queste preparazioni, in forma di pastiglie, capsule, gocce o gel, possono essere assunte (su consiglio del medico) prima dei pasti o in corrispondenza degli stessi, per facilitare la digestione del lattosio. Al momento, i risultati ottenuti variano fortemente secondo la sensibilità del singolo soggetto, e sono perciò necessari ulteriori studi che consentano di migliorarne l’efficacia.
Latte e derivati sono importanti fonti di nutrienti, principalmente proteine e calcio. Tuttavia, questi nutrienti possono essere assunti anche da altre fonti alimentari.
Per il pranzo e la cena non si pongono grossi problemi, da 1 a 3 volte a settimana, si possono consumare formaggi delattosati freschi e magri come mozzarella, ricotta e crescenza, solitamente sempre più disponibili nei supermercati. Nei formaggi stagionati come il parmigiano o il grana, molto del lattosio viene perso durante la stagionatura. Si può scegliere, quindi, di consumarli nella porzione indicata di 50 g, meglio non più di una volta a settimana, visto l’alto contenuto di sale e grassi saturi di questi alimenti. In alternativa, è possibile sostituire una o più delle frequenze settimanali di formaggi con legumi o pesce.
Le informazioni contenute in questo testo hanno esclusivamente uno scopo divulgativo e potranno essere modificate e/o rimosse in qualsiasi momento. In nessun modo, inoltre, intendono formulare diagnosi e/o prescrivere trattamenti. Di conseguenza, nessuna delle indicazioni presenti in questo approfondimento intende e/o può sostituire il rapporto diretto tra medico e paziente.
Raccomandiamo a tutti e, in particolare, a chi è affetto da una o più patologie, di rivolgersi sempre al proprio medico curante e/o agli altri specialisti sanitari di settore, prima di assumere integratori, farmaci, seguire particolari diete e/o programmi di allenamento sportivo.