Il termine “vitamina D” fa riferimento, in realtà, a due pro-ormoni (precursori degli ormoni) l’ergocalciferolo, o vitamina D2, e il colecalciferolo, o vitamina D3. Sebbene vitamina D2 e D3 condividano lo stesso destino metabolico, la prima è esclusivamente di origine vegetale, mentre la seconda viene sintetizzata dalla nostra pelle ed è anche la stessa che si trova negli alimenti di origine animale. In entrambi i casi, tuttavia, una volta assunte con l’alimentazione o sintetizzate dalla nostra pelle, devono venir trasformate da fegato e reni per ottenerne la forma biologicamente attiva, ovvero il calcitriolo.
Questo ormone della famiglia degli steroidi serve principalmente a regolare il metabolismo di calcio e fosforo, favorendone l’assorbimento a livello intestinale e riducendone l’escrezione urinaria.
La scoperta dell’esistenza di recettori per la vitamina D su numerose cellule dell’organismo, ha portato gli studiosi ad ipotizzarne altre possibili funzioni, come per esempio a livello del sistema immunitario, nervoso, cardiovascolare, piuttosto che nel differenziamento e nella crescita cellulare.
I primi studi sulla vitamina D risalgono ad oltre 100 anni fa, quando un pediatra tedesco si accorse che bambini affetti da rachitismo guarivano quando esposti alla luce ultravioletta. Risultati simili vennero ottenuti da altri studiosi, usando la luce solare. Successive ricerche sull’olio di fegato di pesce portarono prima alla scoperta di un composto liposolubile essenziale per il metabolismo delle ossa e poi a dimostrare che la luce del sole era in grado di generare il colecalciferolo, a partire da un suo precursore presente nella pelle (il 7-deidrocolesterolo). La struttura della vitamina D fu identificata ufficialmente nel 1930. Dal 1930 al 1975 vennero, infine, analizzati sempre più approfonditamente i suoi metaboliti.
Dal 1975 ad oggi gli studi sulla vitamina D sono proseguiti, arrivando a comprendere molto bene i meccanismi in cui è implicata per consentire il corretto mantenimento della salute ossea e, negli anni più recenti, ad ipotizzare un suo coinvolgimento anche nella prevenzione di altre patologie.
La vitamina D svolge prevalentemente un importante e ben noto ruolo nella mineralizzazione dello scheletro, regolando le concentrazioni di calcio e fosforo ematici, il loro assorbimento ed escrezione. È quindi un elemento chiave per la corretta formazione di ossa e denti. Indirettamente, inoltre, esercita un effetto anche su altri organi, in quanto la regolazione dell’equilibrio del calcio ematico va a sua volta ad influire sul corretto funzionamento di sistema nervoso centrale, muscoli e cuore.
Ricerche più recenti hanno scoperto che la vitamina D è in grado di regolare l’espressione di oltre 50 geni, implicati in diversi contesti metabolici e fisiologici (come differenziazione, proliferazione e morte cellulare programmata, infiammazione, immunità e metabolismo del glucosio). Ciò ha portato i ricercatori ad ipotizzare che la vitamina D potesse avere degli effetti anche su altri aspetti della salute.
Sebbene alcune ricerche, condotte su cellule e modelli animali, abbiamo dato dei risultati interessanti, altre non li hanno riprodotti o sono risultate contrastanti. Inoltre, ad oggi, non ci sono ancora dati chiari, negli esseri umani, rispetto al ruolo della vitamina D nella prevenzione di malattie come il cancro, il diabete di tipo 2, le patologie cardiovascolari o certe tipologie di infezione. Sono in corso anche ricerche sulla possibile relazione tra vitamina D e microbiota.
Nonostante i numerosi studi, quindi, al momento possiamo affermare con certezza solo che la vitamina D sia fondamentale per la regolazione del metabolismo osseo; rispetto alle altre funzioni ipotizzate, non è ancora possibile trarre delle conclusioni affidabili.
Servono, quindi, ancora ulteriori studi, in particolare condotti sugli esseri umani, per poter comprendere se e come la vitamina D, possa svolgere altre attività benefiche per la nostra salute.
I fabbisogni di vitamina D sono sostanzialmente invariati da 1 a 75 anni di età, in tutte le condizioni fisiologiche e in entrambi i generi e corrispondono a 15 μg al giorno. Solo dopo i 75 anni se ne raccomanda un’assunzione pari a 20 μg, in quanto l’organismo fa più fatica a convertirla nella sua forma biologicamente attiva.
Età | Fabbisogno |
6-12 mesi | 10 μg* (400 UI) |
1-3 anni | 15 μg* (600 UI) |
4-6 anni | 15 μg* (600 UI) |
7-10 anni | 15 μg* (600 UI) |
11-14 anni | 15 μg* (600 UI) |
15-17 anni | 15 μg* (600 UI) |
Femmine 18-75 anni | 15 μg* (600 UI) |
Maschi 18-75 anni | 15 μg* (600 UI) |
Gravidanza | 15 μg* (600 UI) |
Allattamento | 15 μg* (600 UI) |
Femmine >75 anni | 20 μg* (800 UI) |
Maschi >75 anni | 20 μg* (800 UI) |
*(1 μg di colecalciferolo = 40 UI vit. D); UI: Unità Internazionali.
Rielaborato da LARN - Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia. IV Revisione, SINU (2016).
Non essendo particolarmente abbondante negli alimenti, i fabbisogni di vitamina D vengono prevalentemente coperti dalla quantità di molecola che viene sintetizzata a livello della cute, in seguito ad esposizione diretta alla luce solare.
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), il 90% circa del suo fabbisogno si otterrebbe proprio a seguito dell’esposizione al sole. Tuttavia, le opinioni dei professionisti al riguardo sono ancora piuttosto contrastanti, in quanto la sintesi di vitamina D a livello della pelle risente di numerose variabili: tipologia di fototipo*, orario in cui ci si espone al sole, latitudine, utilizzo o meno di creme solari (e loro livello di protezione), tempo di esposizione etc.
*Classificazione utilizzata in dermatologia che permette di determinare il tipo di pelle di una persona in funzione della sua sensibilità all’esposizione solare.
Gli scienziati hanno condotto e continuano a condurre, perciò, anche studi su questo argomento e, ad oggi, da una delle più recenti e solide evidenze emerse è stato osservato che, in condizioni di vita reale, l’utilizzo di creme solari, a medio-basso fattore di protezione, non compromette la produzione di vitamina D. C’è da dire, però, che non ci sono ancora sufficienti studi in grado di descrivere gli effetti delle creme ad alto fattore di protezione (>50). È, infatti, importante ricordare che, per evitare problemi di salute (da eritemi solari fino a carcinomi cutanei e melanomi), è cruciale utilizzare creme ad elevata protezione, in particolare nelle ore centrali della giornata (specialmente nel periodo estivo).
In attesa di dati più chiari, l’ISS raccomanda quanto segue.
Tra tutte le vitamine, la D è quella più difficile da assumere attraverso gli alimenti, in quanto relativamente poco diffusa, abbondando in un numero molto limitato di cibi.
Tuttavia, alcuni alimenti la contengono in buone quantità, in particolare il pesce grasso e alcune tipologie di funghi.
Il pesce è sicuramente la fonte alimentare più ricca di vitamina D. Essendo una vitamina liposolubile, il suo contenuto è maggiore nei pesci più grassi, come tonno fresco (una porzione da 150 g ne contiene 24,45 μg), salmone (una porzione da 150 g ne contiene 12 μg), e sarde (una porzione da 150 g ne contiene 6,75 μg). Tra i molluschi, il contenuto superiore si trova nelle ostriche (una porzione da 150 g ne contiene 0,81 μg). In generale, ad eccezione di alcuni pesci magri, come il merluzzo, tutto il pesce è una discreta fonte di vitamina D.
L’olio di fegato di merluzzo è, invece, come il fegato di tutti gli altri pesci, molto ricco in vitamina D: 10 g (un cucchiaio da minestra) ne contengono 21 μg.
I funghi sono gli unici alimenti di origine vegetale contenenti quantità significative di vitamina D. Tale contenuto, tuttavia, è fortemente influenzato dall’esposizione solare. Nei funghi allevati al buio, infatti, come i comuni champignons bianchi, il quantitativo di vitamina D è praticamente pari a zero; al contrario, in quelli selvatici o cresciuti alla luce può essere quasi equivalente a quello di alcuni pesci. Due etti di chiodini (1 porzione), per esempio, ne contengono 4,2 μg.
Diversi esperimenti hanno dimostrato che, anche dopo la raccolta, l’esposizione dei funghi al sole induce la formazione di vitamina D. Per questo, quando vogliamo acquistare i funghi secchi, scegliamo quelli con la dicitura “essiccati al sole”, che saranno sicuramente più ricchi di vitamina D, rispetto a quelli essiccati al buio.
Il latte non è affatto una buona fonte di vitamina D, quello intero ne contiene solo 0,04 µg per porzione (125 g), e lo scremato ancora meno (0,01 µg per porzione).
I formaggi grassi, ne presentano contenuti discreti: il parmigiano reggiano ne ha 0,25 µg per porzione (50 g), l’emmenthal 0,55 µg. Tuttavia, questi sono alimenti da consumare con moderazione. Niente paura, però, è possibile trovare una piccola quota di vitamina D anche nei formaggi magri: una porzione di ricotta di pecora (100 g) ne fornisce 0,18 µg, 100 g di mozzarella 0,12 µg e 100 g di crescenza 0,45 µg.
Il tuorlo d’uovo è una buona fonte di vitamina D, contenendone circa 5 µg per etto. Considerando tuttavia un uovo di dimensioni medio-grandi - che pesa circa 50-60 grammi, con 15 grammi di tuorlo - il suo contenuto di vitamina D è perciò di poco inferiore ad 1 µg.
Il contenuto di vitamina D nelle carni varia a seconda delle tipologie prese in esame, ma di certo questi alimenti non ne sono ricchi. Vediamo alcuni esempi: 0,5 µg in 100 g di sovracoscia di pollo, 0,2 µg nel petto; 0,4 µg in 100 g di sovracoscia di tacchino, 0,3 µg nel petto; il coniglio ne è praticamente privo. Nel caso delle carni rosse (maiale, manzo, cavallo, pecora, capra e agnello) i livelli sono pressoché comparabili: 0,6 µg in 100 g di carne magra di maiale, 1,3 µg in 100 g di carne magra di vitello, 0,8 µg in 100 g di carne magra di vitellone, 0,8 µg in 100 g di carne magra di cavallo. Un po’ più ricco risulta essere il fegato di suino, con i suoi 1,7 μg ogni 100 di prodotto. Tuttavia, come già detto per i formaggi grassi, anche le carni (in particolare quelle rosse) andrebbero consumate con moderazione (meno di 500 g a settimana).
Gli alimenti di origine vegetale (salvo i funghi, come detto in precedenza) sono tutti pessime fonti di vitamina D, avendone un contenuto nullo o prossimo allo zero.
Fortunatamente, la vitamina D è una molecola molto stabile, non viene, infatti, danneggiata dal calore o dalla cottura, ed è solo moderatamente sensibile alla luce. Resiste, inoltre, alla conservazione prolungata degli alimenti e, quindi, si può trovare anche in quelli conservati in scatola, come sgombro, salmone, tonno o sardine (il consumo di pesce in scatola 1 volta a settimana è compatibile con un’alimentazione sana). Infine, la vitamina D resiste altrettanto bene al congelamento non venendo degradata, perciò, nel pesce surgelato.
Trattandosi di una molecola liposolubile, la vitamina D non viene nemmeno persa con il lavaggio dei cibi o con la bollitura in acqua.
Gli scienziati non sono ancora tutti concordi su quale sia il livello di vitamina D circolante utile alla salute generale; tuttavia gli studi più accreditati indicano che solo valori inferiori agli 8-10 ng/ml potrebbero portare a problemi ossei. Quindi, il valore attualmente ritenuto fisiologico si attesta tra un minimo di 10 e un massimo di 60 ng/ml (con una variabilità che oscilla tra i 20 e 50 ng).
La stessa Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), il 22 febbraio 2023, a seguito di recenti studi molto autorevoli, ha stabilito che il valore sotto il quale è necessario raccomandare l’assunzione di vitamina D, per prevenire osteoporosi e altre malattie a carico delle ossa, corrisponde a 12 ng/ml.
Questo ci dovrebbe rassicurare rispetto al fatto che, nella maggior parte delle persone in salute, oltre l’anno di età, un’esposizione solare come quella descritta in precedenza, affiancata da un’alimentazione che segua il modello mediterraneo, consentirà di superare questo valore senza bisogno di nessuna supplementazione.
Va, inoltre, ricordato che prima di qualsiasi supplementazione è opportuno rivolgersi al proprio medico che, innanzitutto prescriverà degli esami che possano indicare l’eventuale carenza (nel caso della vitamina D, un semplice prelievo di sangue), e quindi valuterà se e in che modalità prescrivere degli integratori nutrizionali.
Vale la pena citare due interessanti studi recenti, che hanno evidenziato quanto segue.
Tra le altre cose, va ricordato che, in quanto vitamina liposolubile, la D, tende ad accumularsi negli organi (in particolare nel fegato), un suo eccesso, perciò, non viene smaltito facilmente. Si è osservato che integrazioni eccessive di vitamina D possono generare tossicità e, tra i vari effetti collaterali riportati emerge l’ipercalcemia.
Va, però, fatto presente che alcune categorie di individui potrebbero beneficiare delle supplementazioni a base di vitamina D e varie istituzioni le raccomandano.