Per reazione avversa a un alimento si intende qualsiasi manifestazione indesiderata e imprevista conseguente all’assunzione di un alimento. In questa definizione rientrano le intolleranze alimentari, ma anche le allergie e le reazioni avverse tossiche causate, ad esempio, da una contaminazione batterica.
Secondo la Società Italiana di Allergologia, Asma ed Immunologia Clinica (SIAAIC) circa il 20% degli italiani sostiene di avere un’allergia alimentare, a fronte di una reale prevalenza del 4,5% negli adulti e 10% nei bambini. Questo dato fa presagire come dilaghi ancora molta confusione quando si parla di allergie e intolleranze alimentari, tant’è che spesso questi due termini sono utilizzati uno in sostituzione dell’altro.
Non è insolito, poi, autodiagnosticarsi un’intolleranza alimentare per cercare di giustificare i più disparati sintomi di malessere, oppure sottoporsi ai numerosi “test delle intolleranze” che promettono, con un semplice prelievo del sangue, di individuare tutti gli alimenti causa di intolleranza. Tutto ciò, nella maggior parte dei casi, spinge le persone ad eliminare dalla propria dieta uno o più alimenti, se non intere categorie alimentari, senza il supporto di una figura specializzata ed esponendosi al rischio di carenze nutrizionali, malnutrizione e, nei bambini, anche possibili deficit nell’accrescimento.
Un primo aspetto da chiarire, se vogliamo comprendere al meglio cosa sono le intolleranze alimentari, è senza dubbio capire la differenza tra quest’ultime e le allergie.
L’allergia alimentare viene definita come “una reazione avversa agli alimenti causata da una anomala reazione immunologica mediata da anticorpi della classe IgE, che reagiscono verso componenti alimentari” (Allergie e intolleranze alimentari, documento condiviso, FNOMCeO).
Il primo concetto importante da sottolineare è che una reazione allergica comporta sempre l’attivazione del sistema immunitario, il quale produrrà anticorpi verso una componente specifica di un alimento (chiamata allergene) con il conseguente manifestarsi di tutta una serie di segni e sintomi. Nel caso delle allergie quest’ultimi possono far la loro comparsa immediatamente o dopo poco tempo dall’assunzione dell’alimento e possono coinvolgere la cute (orticaria, eczema etc.), il sistema gastrointestinale (nausea, vomito, crampi, diarrea etc.), l’apparato respiratorio (, difficoltà respiratoria etc.) e anche, seppur più raramente, i sistemi cardiovascolare e neurologico (aritmie, pressione bassa, svenimenti etc.).
Nelle allergie anche piccolissime quantità di allergene possono scatenare un’importante reazione immunitaria e, nello scenario peggiore, si può giungere ad una situazione di anafilassi, potenzialmente fatale. Per questo motivo nel momento in cui si riceve una diagnosi di allergia alimentare è di fondamentale importanza evitare rigorosamente l’alimento in questione, i prodotti in cui è contenuto e fare attenzione alle possibili contaminazioni in fase di preparazione degli alimenti.
I principali allergeni alimentari riportati dal Regolamento (UE) n° 1169/2011
Le intolleranze possono essere distinte in quelle causate da difetti enzimatici, da sostanze farmacologicamente attive (istamina, tiramina etc.) e da meccanismi non definiti.
Un’intolleranza alimentare, al contrario di una allergia, non prevede il coinvolgimento del sistema immunitario, che di fatto non viene attivato. In questo caso ad essere coinvolto è il processo di digestione e, in particolare, la difficoltà a digerire una componente dell’alimento stesso a causa di un difetto enzimatico.
Segni e sintomi compaiono generalmente dopo alcune ore e coinvolgono principalmente l’apparato gastrointestinale con gonfiore addominale, stipsi, diarrea, gastrite etc., meno frequentemente possono interessare anche la cute con prurito ed eruzioni cutanee, mentre raramente i sintomi si estendono ad altri apparati.
Nel caso dell’intolleranza esiste una soglia di tollerabilità che varia da soggetto a soggetto, oltre la quale si ha il manifestarsi dei sintomi che tendenzialmente sono tanto più importanti tanto maggiore è la quantità di alimento ingerita.
Attualmente sono solo due le intolleranze alimentari riconosciute dalla comunità scientifica: l’intolleranza al lattosio e l’intolleranza al glutine o morbo celiaco.
Tabella riassuntiva delle principali differenze tra allergia e intolleranza.
Come abbiamo già detto le uniche due intolleranze alimentari riconosciute dal mondo scientifico sono quella al lattosio e quella al glutine, nota comunemente con il nome di celiachia e su cui si rende necessario aprire una parentesi.
La celiachia viene definita come un’intolleranza permanente al glutine e per questo motivo ne parliamo sotto la categoria “intolleranze alimentari”. È importante, però, sottolineare alcuni aspetti che caratterizzano questa patologia e che la portano a differenziarsi da quello che abbiamo definito fino ad ora come “intolleranza”.
Il morbo celiaco è una patologia infiammatoria permanente, con tratti di auto-immunità, scatenata dall’ingestione di glutine in soggetti geneticamente predisposti che sviluppano anticorpi nei confronti di questa proteina e di alcune componenti della mucosa intestinale, portando alla manifestazione di sintomi principalmente gastrointestinali, ma, sovente, anche extra-intestinali.
Vediamo, quindi, come nei soggetti celiaci vi sia l’attivazione del sistema immunitario, sebbene non si tratti di un’allergia. Questa reazione immunitaria è causa dell’instaurarsi di uno stato infiammatorio cronico a livello intestinale, che provoca danno ai tessuti e appiattimento dei villi intestinali. Questi ultimi sono strutture essenziali per l’assorbimento dei nutrienti, di conseguenza la compromissione della loro funzione predispone il soggetto celiaco al rischio di carenze nutrizionali e malnutrizione.
Per questo motivo, e per evitare le complicanze a lungo termine di una celiachia non trattata, è essenziale che una volta ricevuta la diagnosi di celiachia ci si attenga rigorosamente ad una dieta priva di glutine per tutta la vita. Anche piccolissime quantità di questa proteina, infatti, possono arrecare un danno alla mucosa intestinale.
L’intolleranza al lattosio è causata da un difetto enzimatico ed è caratterizzata dall’assenza totale o parziale della lattasi, l’enzima che scinde il lattosio nei suoi monosaccaridi: glucosio e galattosio.
In questi soggetti il lattosio, che non viene correttamente digerito, raggiunge intatto il colon dove esercita un effetto osmotico con richiamo di acqua e viene fermentato dai batteri del microbiota intestinale con produzione di gas. Questi fattori portano alla manifestazione dei tipici sintomi dell’intolleranza: gonfiore e dolore addominale, diarrea, flatulenza, sensazione di pesantezza etc.
Un aspetto di fondamentale importanza, però, è che l’assunzione di un alimento contenente lattosio nonostante si sia intolleranti, non comporta in nessun modo un danno all’organismo, ma semplicemente la comparsa della sintomatologia sopra citata, sebbene questa per alcuni soggetti possa essere estremamente fastidiosa. Questa è una differenza sostanziale rispetto alla celiachia, dove invece, lo ripetiamo, è essenziale non assumere alimenti contenenti glutine per tutto il resto della vita.
Inoltre, vi è una possibile relazione tra intolleranza al glutine e al lattosio: la scomparsa dei villi tipica della celiachia, infatti, può causare l’instaurarsi di un’intolleranza al lattosio secondaria, proprio perché l’enzima lattasi viene prodotto a livello di queste strutture. Si tratta, in questo caso, di una situazione temporanea che si risolve spontaneamente adottando una dieta senza glutine.
Siccome non è scopo di questo articolo approfondire ulteriormente l’intolleranza al lattosio e la celiachia, argomenti che abbiamo già ampiamente trattato, rimandiamo ai link a seguire per ulteriori informazioni:
Leggi anche: Celiachia: cos'è? Leggi anche: Intolleranza al lattosio: cos’è?La validazione di un test diagnostico serve per valutare la sua capacità predittiva e la sua affidabilità rispetto allo scopo per cui è stato concepito. Questo concetto è importante da tenere presente per capire perché sia fondamentale affidarsi ai test validati per la diagnosi di allergie e intolleranze, un campo dove, purtroppo, è sempre più frequente la disinformazione e la ricerca di metodi diagnostici alternativi.
Per quanto riguarda le allergie, l’iter diagnostico si articola, dopo un’attenta e approfondita anamnesi da parte del medico specialista, su tre livelli. Un test di primo livello è il prick test (o prick by prick test) in cui si va ad indagare l’insorgenza di una reazione cutanea al contatto con allergeni purificati o alimenti freschi. Nel secondo livello si collocano invece i test sierologici per la ricerca degli anticorpi IgE totali e specifici, infine, il terzo livello è rappresentato dal test di scatenamento orale, metodica considerata il gold standard* della diagnostica allergologica, da effettuarsi nei casi dubbi e sempre in ambiente ospedaliero con la presenza di personale qualificato pronto ad intervenire.
Per le intolleranze alimentari, essendo due quelle riconosciute, va da sé che i test diagnostici validati siano solo quelli per la diagnosi di intolleranza al lattosio e di celiachia. Nel primo caso la diagnosi richiede la positività al breath test al lattosio, mentre per la diagnosi di celiachia i test validati sono il dosaggio degli anticorpi specifici e l’esame istologico della mucosa duodenale tramite biopsia duodenale. Quest’ultimo test non è sempre necessario alla diagnosi nei casi pediatrici.
Detto questo, è sempre più frequente il ricorso da parte della popolazione a test alternativi e non scientificamente validati che promettono di individuare gli alimenti responsabili di allergie e/o intolleranze. Questi test possono essere fatti sulla persona, detti quindi test in vivo, o sul sangue, test in vitro. Fanno parte dei primi i test kinesiologici, elettrodermici, di provocazione-neutralizzazione intradermica o sublinguale, l’analisi del capello, dell’iride etc.
I test in vitro più utilizzati, invece, sono il test di citotossicità e la ricerca di IgG4 specifiche, queste due metodiche sono facilmente effettuabili attraverso un semplice prelievo e sono spesso pubblicizzate all’interno di farmacie e laboratori di analisi.
La “fiducia” della popolazione verso questi test alternativi nasce dal fatto che si utilizzano delle apparecchiature apparentemente sofisticate e, nel caso dei test in vitro, che siano esami fatti sul “proprio sangue”, di conseguenza si instaura la convinzione che ci si sta sottoponendo a metodiche altamente precise e affidabili.
Tuttavia, come sostiene anche la Società Italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica nella campagna atta a educare medici e popolazione “Choosing wisely”, tutti i test sopramenzionati mancano di una validazione tecnica e clinica, non ne è stata dimostrata l’efficacia e, al contrario, è stato dimostrato come non siano ripetibili e che il risultato sia operatore-dipendente. Si tratta, inoltre, di metodiche spesso molto costose, che, lo ripetiamo, oltre a non avere nessun potere diagnostico, possono indurre le persone ad intraprendere diete restrittive e non giustificate, potenzialmente pericolose per la salute.
vengono spesso proposti a coloro che vogliono perdere peso. Con la scusante di essere intolleranti ad una lunga serie di alimenti, si finisce per adottare un’alimentazione altamente restrittiva e, di conseguenza, si va a ridurre anche l’apporto calorico totale, con il risultato che spesso qualcuno, effettivamente, vede scendere i numeri sulla bilancia. Tuttavia, non trattandosi di una dieta né salutare né sostenibile nel lungo periodo prima o poi si andrà a riacquisire il peso inizialmente perso oltre a rischiare, come abbiamo già menzionato, di andare incontro a problemi di salute.
*Gold standard: si definisce gold standard, in medicina, l’esame diagnostico più accurato nel confermare una diagnosi.
Una volta diagnostica un’allergia o un’intolleranza alimentare può essere complicato, soprattutto nei primi momenti, destreggiarsi tra le corsie del supermercato alla ricerca dei prodotti adatti alla propria situazione. Tuttavia, le norme vigenti riguardanti l’etichettatura vengono molto incontro ai consumatori, aiutandoci a capire in pochi istanti se un alimento è idoneo o meno al consumo.
Nel caso delle allergie i principali allergeni alimentari (cereali contenenti glutine, arachidi, soia, lupini, frutta a guscio, latte vaccino, uova, pesce, crostacei e molluschi) devono per legge essere ben evidenziati nella lista ingredienti, per esempio attraverso l’uso del grassetto. Inoltre, non è insolito trovare in etichetta diciture come “contiene tracce di (allergene)”, “prodotto in stabilimenti in cui viene utilizzato (allergene)”, informazioni non obbligatorie per legge ma fornite volontariamente dalle aziende.
Chi invece è intollerante al lattosio, al supermercato si può trovare di fronte ad alimenti con la dicitura “senza lattosio” o “a ridotto contenuto di lattosio”, queste definizioni possono essere utilizzate per prodotti lattiero caseari con residui di lattosio inferiori, rispettivamente, allo 0,01% e allo 0,5%.
Negli ultimi anni, poi, si è ampliato sempre di più il mercato dei prodotti delattosati, ovvero alimenti (come latte, yogurt e formaggi freschi) realizzati con l’aggiunta dell’enzima lattasi che scinde il lattosio nei suoi monosaccaridi, glucosio e galattosio, rendendoli così adatti al consumo degli intolleranti.
Infine, vi sono quei prodotti “naturalmente privi di lattosio” che comprendono sia gli alimenti che non contengono ingredienti lattei, sia alcuni formaggi stagionati che, a seguito del processo di stagionatura, risultano senza lattosio.
Per avere la certezza di acquistare un prodotto senza glutine si può ricercare la presenza in etichetta del bollino verde rilasciato dal Ministero della Salute, del marchio della spiga sbarrata rilasciato dall’Associazione Italiana Celiachia (AIC) oppure della dicitura “senza glutine” o “gluten free”, regolamentate da norme europee e nazionali. La presenza di anche solo uno di questi garantisce l’assenza di glutine nel prodotto. Due ulteriori strumenti utili sono il prontuario degli alimenti messo a disposizione dall’AIC e il registro nazionale degli alimenti senza glutine stilato dal Ministero della Salute, questi due altro non sono che una vera e propria lista di tutti i prodotti immessi sul mercato certificati come “senza glutine”.
Così come l’ambito della nutrizione è saturo di falsi miti, anche il mondo delle intolleranze alimentari non ne è esente. Vediamo insieme alcune credenze comuni su intolleranza al lattosio e celiachia.
No. Gli alimenti delattosati sono identici dal punto di vista nutrizionale alle rispettive versioni contenenti lattosio. L’unica differenza è che quest’ultimo si trova già scisso in glucosio e galattosio e questo fa si che il sapore dell’alimento possa essere percepito come maggiormente dolce. Questa percezione può far pensare che si tratti di un prodotto contenente più zuccheri, anche se in realtà la quantità di quest’ultimi è la stessa tra un alimento con lattosio e lo stesso delattosato.
Se si è intolleranti, seguire una dieta senza lattosio porta sicuramente alla risoluzione e scomparsa della sintomatologia associata; mentre se non si ha un’intolleranza non si dovrebbe intraprendere una dieta priva di lattosio poiché non vi è nessun beneficio ad eliminarlo dalla propria alimentazione. Se si è intolleranti e non si consumano nemmeno i prodotti delattosati, potrebbe essere necessario porre una maggiore attenzione nel garantire la copertura del fabbisogno giornaliero di calcio, minerale che si ritrova in alcune fonti vegetali (cavolo nero, semi di sesamo, mandorle etc.) e animali (pesci che possono essere consumati con la lisca), per non dimenticare l’acqua, anch’essa un importante fonte di minerali, tra cui il calcio.
A differenza del glutine che, in chi è celiaco, può provocare un danno a livello intestinale anche in assenza di sintomi e in piccolissime quantità, il lattosio negli intolleranti non causa nessun danno all’organismo. Per questo motivo se per errore si consuma un alimento che lo contiene non vi è ragione di preoccuparsi, anzi, è stato riportato in letteratura scientifica che l’assunzione regolare di piccole quantità di lattosio può migliorarne la tolleranza attraverso un adattamento del microbiota intestinale, andando a selezionare e a favorire la crescita dei ceppi batterici in grado di digerirlo.
Nel momento in cui una persona celiaca sostituisce un alimento con il rispettivo senza glutine (ad esempio la pasta di grano duro viene sostituita con pasta senza glutine) l’apporto calorico risulta essere pressoché lo stesso. Al contrario, se non si presta la dovuta attenzione, è più facile acquisire peso, in particolar modo se ci si affida ad un’alimentazione interamente basata sui prodotti confezionati senza glutine, spesso ricchi di grassi saturi, zuccheri e sale. Meglio cercare di sostituire i cereali non consentiti con le versioni integrali di quelli concessi, oltre ad assicurarsi un buon consumo di legumi, frutta, verdura, frutta a guscio e semi, per garantirsi un adeguato apporto di fibra.
Si, ma solo se si è celiaci. Per questo motivo, se non si è ricevuta una diagnosi di celiachia, non vi è nessuna ragione, e non è consigliabile, per eliminare il glutine dalla propria alimentazione.
Non necessariamente. Tuttavia, è vero che i famigliari di primo grado di una persona celiaca, quindi genitori, fratelli/sorelle e figli, hanno un rischio maggiore, pari al 10-15%, di sviluppare la malattia. In questi casi il medico potrebbe consigliare di eseguire l’analisi di predisposizione genetica per la celiachia. È importante, inoltre, non eliminare volontariamente il glutine, se non si è ricevuta una diagnosi, in particolar modo prima di sottoporsi ai test diagnostici!
Per concludere, riportiamo a seguire un riassunto delle dieci regole per gestire le intolleranze alimentari presenti in un documento condiviso da molte delle più importanti e rigorose società e associazioni italiane di medicina e nutrizione.