L’indice glicemico (IG) misura l’aumento della glicemia (livello di zuccheri del sangue) in seguito all’assunzione di un determinato alimento, rispetto a quello provocato dall’assunzione di un alimento di riferimento (glucosio o pane bianco), a parità di contenuto di carboidrati.
Per calcolare l’IG di un alimento si rappresenta in un grafico l’andamento della glicemia in seguito al consumo di una porzione del suddetto alimento contenente 50 g di carboidrati. La curva ottenuta viene confrontata con quella derivante dall’assunzione di una porzione dell’alimento di riferimento, che contiene sempre 50 g di carboidrati. Il rapporto, espresso come percentuale, tra l’area disegnata dal grafico dell’alimento considerato (es. ceci) con quella del riferimento (es. glucosio) rappresenta l’indice glicemico.
I valori di IG di tutti i più comuni alimenti, sono stati misurati sperimentalmente e raccolti in tabelle che permettono di classificarli in tre categorie:
Fino a questo punto ci siamo focalizzati sugli aspetti teorici, ma cosa indica concretamente l’indice glicemico degli alimenti? Questo parametro fornisce una stima di quanto rapidamente i carboidrati sono digeriti e assorbiti nel circolo sanguigno.
Se i carboidrati contenuti in un alimento sono metabolizzati velocemente dall’organismo, si verifica un rapido aumento della glicemia dopo il pasto e pertanto tale alimento viene considerato ad alto indice glicemico; viceversa sono classificati a basso IG gli alimenti che hanno un impatto più contenuto sui livelli di glucosio, in quanto contengono carboidrati che sono digeriti più lentamente. Questo significa che, per esempio, 50 g di carboidrati contenuti in una porzione di circa 60 g di riso (alimento con indice glicemico di 89 -alto-) hanno un maggiore impatto sulla glicemia di 50 g di carboidrati contenuti in 90 g di ceci secchi (alimento con indice glicemico di 36 -basso-).
Non esattamente, bisogna considerare infatti che la risposta glicemica ad un alimento è influenzata in maniera importante anche dalla quantità di carboidrati presenti al suo interno, non solo dalla loro qualità. Per questo motivo, oltre all’IG è importante tenere in considerazione anche un secondo parametro: il carico glicemico.
Il carico glicemico (CG) è calcolato moltiplicando l’indice glicemico dell’alimento considerato per i grammi di carboidrati contenuti in una sua porzione media e poi diviso per 100.
Per esempio, il melone ha un IG pari a 65 e una porzione media da 150 g contiene 11 g di carboidrati; una porzione di 80 g di spaghetti invece ne contiene circa 66 g e ha un IG di 58.
Ne deriva che:
Come possiamo vedere, in linea teorica i due alimenti presentano un IG simile, ma dal momento che il contenuto di CHO di una porzione media è molto diverso, anche l’impatto degli stessi sulla glicemia sarà differente.
La somma dei singoli valori di CG delle porzioni di alimenti consumati nei diversi pasti può essere utilizzata per stimare il CG complessivo della dieta.
Bisogna infatti considerare, che gli alimenti, di solito, non sono assunti singolarmente, ma nel contesto di un pasto completo. Pertanto, nella determinazione della risposta glicemica complessiva, entrano in gioco diversi fattori.
Ecco i più importanti:
Consumare un pasto completo, composto non solo da alimenti fonte di carboidrati, ma anche di fibre, proteine e lipidi, induce una risposta glicemica inferiore rispetto ad un pasto che apporti esclusivamente carboidrati. La presenza di macronutrienti differenti, infatti, ha un effetto sinergico sul metabolismo che si riflette in un aumento più contenuto dei livelli di glicemia post-prandiali. In particolare i grassi agiscono prolungando i tempi di svuotamento gastrico, rallentando così l’assorbimento del glucosio nel circolo sanguigno. Anche la fibra ha un ruolo chiave nel contenere il picco glicemico: si è osservato, infatti, che il consumo di una porzione di vegetali durante o subito prima del pasto aiuta a ridurre l’incremento dei livelli di zuccheri nel sangue, anche in soggetti diabetici. Le proteine, infine, stimolano la produzione di insulina, che contribuisce a contenere la risposta glicemica.
Alcuni alimenti fonte di carboidrati, come ad esempio il riso o le patate, sono ricchi di amido. Durante la cottura, l’amido subisce un processo di “gelatinizzazione” a seguito del quale i granuli che lo compongono assumono una struttura più “disordinata”. Questa trasformazione rende gli alimenti più digeribili ma, al contempo, ne aumenta l’indice glicemico. Si tratta, però, di un evento reversibile: con l’abbassarsi della temperatura, infatti, l’amido tende a recuperare la propria struttura originaria (con un processo detto di retrogradazione) e di conseguenza anche l’indice glicemico dell’alimento diminuisce. Consumare una porzione di riso o di patate cotti precedentemente e poi raffreddati, ha quindi un minore impatto sulla glicemia rispetto all’assunzione delle medesime porzioni di quegli alimenti appena cucinati.
È stato osservato che il primo pasto della giornata può influenzare non solo la risposta glicemica immediatamente successiva, ma anche il metabolismo glucidico dell’intera giornata. Per questo motivo, come suggerito dai LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia), è importante prediligere fonti alimentari amidacee a basso indice glicemico. Una colazione contenente alimenti a basso IG si è dimostrata efficace nel migliorare il metabolismo post-prandiale in individui adulti sani, in adolescenti e in pazienti affetti da diabete mellito. Per quanto riguarda i carboidrati semplici, oltre agli alimenti che ne sono naturalmente fonte e che dovrebbero essere presenti in una sana colazione (frutta, latte o derivati), si consiglia di limitare altre fonti addizionali di zuccheri liberi per evitare una risposta glicemica eccessiva. Anche la fibra, se assunta a colazione, può avere un effetto positivo sul metabolismo glucidico; via libera quindi, all’introduzione di alimenti come frutta, frutta a guscio e cereali integrali.
Da anni, il panorama scientifico si interroga su quale ruolo possa ricoprire un’alimentazione caratterizzata da alimenti a basso indice/carico glicemico, nel mantenimento di un buono stato di salute e nella prevenzione o gestione di alcune patologie. Di seguito alcune delle tematiche più rilevanti:
La relazione tra alimentazione a ridotto IG/CG e andamento del peso corporeo è stata indagata da molti studi. Alcuni hanno evidenziato risultati positivi in termini di dimagrimento per soggetti sovrappeso o obesi, che seguivano questo tipo di dieta. In ogni caso ad oggi, i dati disponibili non permettono di definire chiaramente un livello di indice e/o carico glicemico che possa contribuire alla prevenzione dell’incremento ponderale. Si è, però, convenuto che questi parametri possono rappresentare uno strumento efficace per orientare la propria scelta rispetto agli alimenti contenenti carboidrati.
Indice e carico glicemico degli alimenti ricchi in carboidrati possono influenzare il metabolismo dei grassi. Si è osservato, infatti, che la minore risposta glicemica indotta dagli alimenti a basso IG può migliorare la sensibilità all’insulina e ridurre la sintesi epatica e la secrezione di trigliceridi. Questo comporta anche una riduzione dei livelli plasmatici di colesterolo LDL (il cosiddetto colesterolo “cattivo”) e l’innalzamento del colesterolo “buono” HDL. Al momento, non ci sono però dati sufficienti per stabilire un livello soglia di IG o CG al di sotto del quale sia possibile ottenere tali benefici.
Quella tra indice/carico glicemico e diabete è forse la relazione che negli anni è stata maggiormente indagata. Da alcuni degli studi svolti, è emerso che il consumo abituale di alimenti ad elevato indice glicemico può aumentare il rischio di sviluppare diabete mellito di tipo 2; da altri, che diete a basso indice glicemico possono migliorare il controllo della glicemia in soggetti già affetti da diabete. Sulla base di queste evidenze, gli “Standard italiani per la cura del diabete mellito” raccomandano a chi soffre di diabete di tipo 1 e 2 di considerare l’indice glicemico degli alimenti, prediligendo quelli ricchi in fibra e a basso indice glicemico, soprattutto quando il contenuto di carboidrati della dieta si avvicina al limite massimo consigliato.
Sono state svolte ricerche anche per quanto riguarda la relazione tra alimentazione ad elevato IG/CG e rischio di sviluppare patologie tumorali. Dai risultati ottenuti, si evince che il carico glicemico della dieta è un probabile fattore di rischio di tumore all’endometrio, mentre per le altre tipologie di tumore non sono emerse correlazioni evidenti.