Le ricette di paesi, culture e tradizioni differenti dalle nostre sono da tempo diventate protagoniste anche delle abitudini alimentari italiane. Negli ultimi anni, in particolare nelle grandi città, oltre al già noto sushi si è imposto un nuovo alimento di tendenza, considerato anch’esso “healthy” (salutare): il poke hawaiano.
Entrambi i piatti sono esotici, colorati ed esteticamente perfetti per diventare protagonisti indiscussi dei social network.
Un’altra ragione che ha portato al loro successo è il fatto che siano considerati salutari, benefici e, a volte, anche ideali per controllare il proprio peso o aiutare a perderlo.
Ma è veramente così?
Nel mondo occidentale, quando si parla di sushi ci si riferisce ai classici rotolini di pesce crudo e altri ingredienti (quali pesce, alghe, tofu e verdure) avvolti intorno o contenuti all’interno di “polpettine” di riso bianco. Tuttavia, le origini del sushi sono piuttosto incerte. Si ritiene che una forma simile all’attuale sushi sia nata in Cina, intorno al IV secolo, e che sia poi stata portata in Giappone dai monaci buddhisti, nel VII secolo. Il pesce, all’epoca, veniva disposto a strati, con il sale alternato al riso, e lasciato fermentare per mesi. Questo processo, e l’utilizzo del riso acetato e fermentato come conservante, consentiva di prolungare i tempi di conservazione dell’alimento.
Intorno al IX secolo, questa pietanza si diffuse molto rapidamente in Giappone, entrando a far parte degli alimenti tradizionali. Inizialmente servito sotto forma di bocconcini di riso aromatizzati all’aceto ricoperti di fettine di pesce crudo, oggi se ne conoscono numerosissime tipologie che sono state adattate e modellate alle preferenze del luogo in cui vengono consumate, spesso allontanandosi molto dalla ricetta originaria.
Il termine sushi, nel nostro paese, comprende varie tipologie di prodotti, tra i più noti ci sono quelli a seguire.
Gli ingredienti che accompagnano il riso sono spesso crudi, ma molti locali/rivenditori propongono anche alimenti cotti, fritti e accompagnati da varie tipologie di salse e semi (maionese, salsa di gamberi, soia, sesamo etc.). In alcuni casi si possono trovare anche altre varietà di riso, tra cui quello venere e l’integrale.
Data l’estrema eterogeneità delle tipologie di sushi presenti sul mercato italiano, è evidente che non tutti possano essere caratterizzati dallo stesso valore energetico e nutrizionale.
Per evitare di trasformare un cibo originariamente semplice e potenzialmente sano in una sorta di “junk food”, va prestata particolare attenzione ad alcuni ingredienti che, in alcuni casi, possono essere molto abbondanti nel sushi.
Alla base del sushi c’è il riso bianco, cereale che, di per sé, può essere considerato sano, sebbene sarebbe meglio prediligerne la versione integrale, rossa, o nera, più ricche di fibra e più sazianti. Tuttavia, al riso viene aggiunto zucchero in una quantità non proprio trascurabile; una porzione da 8 pezzi ne contiene, in media, circa 10 g. È facile capire, quindi, come un consumo elevato e frequente di questo alimento, ci porterebbe ad incrementare inconsapevolmente la nostra assunzione di zuccheri liberi che, secondo l’OMS, dovrebbe essere limitata a non più del 10% dell’apporto calorico giornaliero.
Oltre allo zucchero, nel riso utilizzato per preparare il sushi è contenuto anche sale. Se consideriamo, inoltre, che i rotolini vengono abitualmente intinti nella salsa di soia, il quantitativo di sale assunto incrementa ulteriormente. La salsa con il tappo rosso, infatti, ne contiene circa 17 g su 100 ml, mentre quella con il tappo verde, definita “a basso contenuto di sale”, ne ha pur sempre 10 g ogni 100 ml.
Attenzione alle salse, agli ingredienti di accompagnamento e alle modalità di cottura di alcuni tipi di sushi. Molte volte, all’interno dei rotolini, sono presenti salse ricche di sale e grassi saturi e/o zuccheri semplici, quali maionese e salsa rosa; oppure ingredienti che ne aumentano il contenuto zuccherino o lipidico (frutta speziata e dolcificata, uova, formaggio, sughi, carne etc.). Infine, non va dimenticato che preparazioni impanate e/o fritte aumentano notevolmente l’apporto calorico e lipidico del piatto.
In particolare quando si sceglie di mangiare il classico sushi a base di pesce crudo, facciamo, infine, attenzione alla sua freschezza. Il pesce, infatti, deve venire sempre, non solo correttamente conservato (la catena del freddo deve essere adeguatamente rispettata durante il trasporto, dopo la pesca, fino a mercati, ristoranti e negozi) ma anche abbattuto*, prima di essere servito. Il rischio, altrimenti, è quello di incorrere in contaminazioni batteriche o parassitarie (come l’Anisakis) molto pericolose per la salute.
*Processo che prevede la congelazione del pesce ad una temperatura di almeno -20° C, per un tempo non inferiore alle 24 ore.
In ragione di quanto descritto fino ad ora, è facile capire come il sushi, se non scelto attentamente, può essere un alimento per nulla salutare come viene, invece, spesso reputato.
Nel contesto di una dieta equilibrata, che segua il modello del piatto sano, e di uno stile di vita attivo, concedersi il sushi 1 volta a settimana non rappresenterà certo un problema per la salute o per la linea. Tuttavia, è opportuno tenere in considerazione qualche accortezza per rendere questo piatto fonte di nutrienti utili al nostro benessere.
Il poke (letteralmente “tagliare a pezzi”) è un piatto tipico della tradizione hawaiana, composto da scarti del pescato del giorno (di solito polpo o tonno), alghe, polpa di noci kukui e sale marino. Veniva di solito consumato dai pescatori direttamente sulle barche come spuntino, antipasto o portata principale.
Solo dopo il 2000, una versione più ricca di questo piatto ha iniziato a diventare celebre, prima nel resto degli Stati Uniti, poi in Europa e, infine, dal 2017, in Italia, dove ha preso piede inizialmente a Milano e poi in altre grandi città.
Il poke “moderno”, infatti, da semplice insalata a base di scarti di pesce, si è trasformato nella cosiddetta “poke bowl”, una ciotola dall’elevata qualità estetica che può contenere riso (o altri cereali), salmone, edamame, mango, cetrioli, verdure varie (pomodori, carote, insalata, ravanelli etc.), avocado, frutta a guscio, semi oleosi e venire condita in svariate maniere (olio evo, maionese, salsa di soia, salsa teriyaki, salsa ponzu etc.).
Questa versione di poke è al momento tra le tipologie di piatti di maggior successo in tutto il mondo. Complice di questa popolarità non è solo la sua innegabile qualità estetica, ma anche la fama di alternativa completa e salutare ad alimenti da “fast-food” o alla classica pizza.
Nel nostro paese, come prima negli USA e poi in UK, oltre alla possibilità di ordinare il poke con il delivery, sono nate le cosiddette “poke house”, locali che consentono all’avventore di scegliere come comporre la propria “bowl” a partire da una vastissima proposta di ingredienti, come quelli a seguire.
Tutte queste opzioni offrono, sicuramente, la possibilità di fare delle scelte salutari, seguendo la regola del piatto sano; è fondamentale, però, essere correttamente informati al riguardo!
La compresenza di carboidrati, proteine, verdura, frutta, grassi buoni e micronutrienti fa, potenzialmente, del poke una valida alternativa al classico piatto unico. Tuttavia, questo vale solo se i vari ingredienti sono consumati in quantità in linea con le porzioni di riferimento nazionali e combinati in maniera corretta, senza eccedere, come spesso accade, con l’aggiunta di proteine, grassi, salse e sale.
Anche il poke può diventare un piatto unico e bilanciato se si presta attenzione a tipologia e quantità degli alimenti che lo compongono. Con qualche semplice accortezza è, quindi, possibile sia a casa che nelle “poke house”, creare delle “bowl” sane, complete e bilanciate, da concedersi anche 1-2 volte a settimana.