Curcuma, zenzero, poliammine, glicoalcaloidi e rischio di cancro: qual è la verità?

12 dicembre
2022
Tempo di lettura
8 min
#informazione #alimentazioneSalute

L’alimentazione gioca sicuramente un ruolo chiave nello sviluppo delle più comuni patologie, tra cui i tumori, ma non esistono prove scientifiche solide che dimostrino che un singolo alimento, nutriente o composto chimico, che magari si assume in quantità minime nel quotidiano, sia in grado di inibire o promuovere l’insorgenza o la ricorrenza del cancro.


Le linee guida del Fondo Mondiale per la Ricerca sul Cancro, il World Cancer Research Fund - WCRF, una delle principali autorità nell’ambito della ricerca per la prevenzione dei tumori, incoraggiano l’assunzione di certe tipologie di alimenti a discapito di altri, ma non danno nessuna indicazione di consumo rispetto a specifici composti o molecole.

Nonostante ciò, in particolare sul web, imperversano false informazioni che attribuiscono ad alcune sostanze proprietà preventive o curative, nei confronti dei tumori, mentre ad altre, di contro, viene imputata la capacità di far insorgere il cancro o peggiorarne la prognosi, durante le cure oncologiche.

Curcuma e tumori

Tra i composti considerati ad azione anticancro, spicca la curcuma.

La curcuma è una pianta appartenente alla famiglia delle Zingiberaceae, la stessa di zenzero e cardamomo. La specie maggiormente coltivata e studiata è la Curcuma longa, pianta diffusa in tutto l’oriente. Dalla lavorazione della sua radice, un rizoma di colore giallo-arancione, si ottiene una polvere tipica della cucina indiana che per molti anni è stata utilizzata come principale colorante dei tessuti. Ormai da tempo, questa spezia è arrivata anche sulle tavole occidentali e viene impiegata come ingrediente sia da sola sia come componente del curry.

Il pigmento responsabile del suo colore giallo-arancio è la curcumina, un composto fenolico molto studiato dalla comunità scientifica.

Questo polifenolo è un potente antiossidante e la sua attività biologica è stata studiata prevalentemente su cellule (i cosiddetti studi in vitro) e su modelli animali, dimostrando proprietà antinfiammatorie e capacità di modulare l’attività del sistema immunitario. Queste caratteristiche sembrano esercitare varie azioni positive, tra cui, per esempio, diminuire la concentrazione di trigliceridi e colesterolo nel sangue.

Da altri lavori, svolti sempre in vitro, sono emerse delle attività antitumorali di questo composto, come un’azione inibitoria sulla formazione dei nuovi vasi sanguigni necessari alla crescita tumorale e la promozione dell’apoptosi, cioè della morte cellulare programmata delle cellule cancerose. Sebbene queste scoperte siano molto promettenti, mancano ancora risultati convincenti dagli studi sui modelli umani, da cui, al momento, non emergono evidenze di effetti protettivi della curcumina, rispetto all’insorgenza e/o alla ricorrenza dei tumori.

Non va, inoltre, dimenticato che la curcumina presenta una ridotta biodisponibilità, questo significa che, quando viene ingerita, soltanto una piccola percentuale di principio attivo è effettivamente assorbito dal nostro organismo. Inoltre, la velocità con cui viene degradata ed eliminata, una volta ingerita, è molto rilevante.

A fronte di queste evidenze, non sorprende che il panel di esperti del WCRF non abbia espresso alcuna raccomandazione riguardo al consumo della curcuma, non essendoci evidenze che correlino un’assunzione equilibrata di questa spezia allo sviluppo, piuttosto che alla prevenzione, di alcuna malattia.

Attenzione però a non superare la dose di 8 grammi giornalieri, nel caso in cui si stiano assumendo farmaci anticoagulanti come aspirina, ibuprofene, eparina e warfarina. Dosi elevate di curcumina, infatti, sono in grado di interagire con questa tipologia di sostanze potenziandone l’effetto e portando, quindi, ad un rischio di aumento di emorragie, anche gravi.

Zenzero e tumori

Un’altra spezia a cui sono state attribuite proprietà miracolose è lo zenzero.

Originario dell’India e dell’Asia tropicale, già oltre 2000 anni fa era conosciuto e importato da Greci e Romani. Oggi è coltivato diffusamente in quasi tutti i paesi tropicali e subtropicali e vede tra i maggiori produttori Cina e India; quest’ultima, da sola, arriva a contribuire a quasi il 50% di tutta la produzione mondiale di zenzero.

Della pianta dello zenzero si utilizzano le radici o rizomi, dalla consistenza tuberosa e carnosa, di colore marrone all’esterno e giallo acceso all’interno, dal caratteristico aroma pungente e dal profumo che ricorda limone e citronella.

In commercio si può facilmente trovare: essiccato, generalmente ridotto in polvere, fresco (come radice decorticata o con la buccia, o a fette in salamoia), disidratato o candito.

Come nel caso della curcuma, gli studi condotti su modelli cellulari e animali hanno evidenziato che lo zenzero esercita effetti di tipo antinfiammatorio, antitumorale, antiossidante e antimicrobico. Allo zenzero sono stati attribuiti numerosi altri effetti benefici, come la capacità di regolare la glicemia, sconfiggere raffreddore e influenza e anche accelerare il processo di dimagrimento. Tutte queste evidenze, però, necessitano di studi più approfonditi per essere confermate e, soprattutto, per dimostrare che siano riproducibili anche sugli esseri umani.

Al momento, le uniche solide evidenze scientifiche disponibili sull’essere umano hanno dimostrato che lo zenzero esercita un effetto antinausea. Per questo, un suo impiego può essere sicuramente consigliato a questo scopo e anche per contrastare dismotilità e nausea, che possono insorgere associati a certe tipologie di tumori o a seguito delle terapie oncologiche.

Come nel caso della curcuma, anche per lo zenzero, il WCRF non ha espresso alcuna raccomandazione riguardo al suo consumo e possibili correlazioni con sviluppo o prevenzione dei tumori.

Va detto, però, che l’impiego di curcuma, zenzero e altre spezie (come paprika, pepe o peperoncino) è sicuramente raccomandato e molto utile per aromatizzare e condire i nostri piatti, in modo da diminuire il consumo di sale (che dovrebbe essere tenuto sotto i 5 grammi al giorno). L’utilizzo elevato di sale e alimenti conservati con il sale, infatti, è legato ad un aumento di rischio di tumore allo stomaco oltre che di ipertensione e osteoporosi.

Poliammine e tumori

Tra i composti ritenuti, invece, cancerogeni e che hanno addirittura portato alcune persone a sconsigliare il consumo dei cibi che li contengono, troviamo le poliammine. Queste molecole hanno funzioni di grande importanza per le nostre cellule e sono essenziali per il corretto funzionamento di numerosi processi fisiologici.

Tuttavia, le poliammine hanno iniziato ad essere considerate negativamente da quando si sono osservate loro notevoli concentrazioni nelle cellule cancerose e si è anche visto che elevati livelli di queste sostanze sono necessari per sostenere la crescita tumorale.

Oltre che venire prodotte naturalmente dalle nostre cellule e dal microbiota che popola il nostro intestino, le poliammine si trovano anche in certi alimenti, in particolare sono presenti in abbondanza in arance, pompelmi, pomodori, melanzane, peperoni, frutti tropicali e molluschi.

Per questa ragione, in via precauzionale, è sorta l’indicazione di consumare con cautela o non consumare affatto questi alimenti, come misura preventiva contro l’insorgenza, ed in particolare la ricorrenza, dei tumori.

Ma limitare questi cibi, o addirittura escluderli dalla dieta, ha un razionale scientifico?

Al momento, non esistono abbastanza pubblicazioni scientifiche solide che abbiano dimostrato, nelle persone, che livelli aumentati di poliammine provenienti dall’alimentazione siano in grado di favorire la formazione o la progressione dei tumori.

In modelli animali è stato osservato che, durante un processo tumorale, l’inibizione delle vie di sintesi di questi composti ha ridotto i processi di carcinogenesi. Altri studi, condotti sempre in animali, hanno mostrato che il consumo di poliammine aumenta l’incidenza di tumori del colon, solo quando siano già presenti delle lesioni pre-tumorali.

Negli esseri umani, ad oggi, sono stati condotti solo due grossi studi, che hanno indagato come il consumo di poliammine potesse influenzare l’insorgenza o la progressione del cancro al colon. I due lavori hanno dato risultati opposti:

  • il primo sembrava aver trovato un legame tra il consumo di poliammine e la progressione del tumore, sebbene in modo forte solo in individui con un difetto genetico che faceva produrre più poliammine all’organismo stesso;
  • nel secondo non solo non è stata osservata alcuna associazione, ma addirittura si è registrata una piccola ma significativa riduzione nello sviluppo del cancro in chi consumava livelli più elevati di poliammine.

Di conseguenza, possiamo concludere che i dati scientifici, di cui siamo in possesso fino ad ora, non confermano che il consumo di questi alimenti, in un’alimentazione varia ed equilibrata di tipo mediterraneo, possa far aumentare il rischio di insorgenza, recidiva, o peggioramento della prognosi, in caso di malattia oncologica.

A sostegno di questo, infatti, il WCRF non ha espresso alcuna raccomandazione riguardo al consumo di alimenti ricchi in poliammine e possibili correlazioni con sviluppo, o ricorrenza dei tumori. Al contrario, la terza raccomandazione per la prevenzione oncologica, valida anche per chi ha già avuto una diagnosi di cancro, suggerisce di favorire l’assunzione di alimenti di origine vegetale (quindi anche frutta e verdura) senza escludere nessuno dei cibi in cui le poliammine sono particolarmente abbondanti (arance, pompelmi, pomodori, melanzane, peperoni o frutti tropicali).

Glicoalcaloidi e tumori

Altri composti ritenuti poco salutari sono i glicoalcaloidi, sostanze chimiche presenti in molte piante della famiglia delle Solanaceae (come patate, pomodori, peperoni e melanzane) che contribuiscono alla resistenza delle piante stesse contro l’attacco di parassiti e agenti patogeni. Il più noto di questi composti è la solanina, presente nelle patate.

L’interesse per la solanina e gli altri glicoalcaloidi è aumentato in seguito ad alcune teorie che imputano a queste sostanze un ruolo pro-infiammatorio e quindi potenzialmente scatenante o esacerbante patologie con una base infiammatoria, tra cui il cancro.

La concentrazione dei glicoalcaloidi è maggiore nelle bucce degli alimenti e può aumentare in seguito a fattori di “stress” per la pianta o per l’alimento stesso, come l’esposizione alla luce solare o lesioni fisiche. Nelle patate, quando la concentrazione di glicoalcaloidi è piuttosto elevata, il sapore diventa amaro e anche la colorazione verde ne è un indicatore.

A gettare un ulteriore alone negativo sulla fama di questi alimenti è stato il fatto che un consumo molto elevato di glicoalcaloidi è in grado di scatenare reazioni di intossicazione come nausea, vomito e diarrea. Ma questi effetti si sono osservati solo a seguito di un’esposizione acuta, cioè all’assunzione in un breve lasso di tempo di alte dosi di composti.

Al contrario, non è stata identificata alcuna prova dell’insorgenza di problemi di salute associati all’assunzione ripetuta a lungo termine (cioè cronica) di glicoalcaloidi, attraverso il consumo abituale e nelle quantità raccomandate di patate o altri alimenti che ne sono ricchi.

In modo particolare, non esistono studi, condotti sugli esseri umani, che abbiano evidenziato un aumento del rischio o della ricorrenza di tumori, a seguito del consumo di cibi contenenti glicoalcaloidi.

Anche in questo caso, infatti, il WCRF non ha espresso alcuna raccomandazione riguardo all’assunzione di alimenti ricchi in glicoalcaloidi per via di possibili correlazioni con sviluppo, o ricorrenza dei tumori.

Secondo il modello del piatto smart è opportuno consumare fino a 5 porzioni al giorno di verdura e frutta (di ogni tipo) e 1, massimo 2 porzioni alla settimana, di patate, dove 1 porzione corrisponde a 200 grammi di tuberi.





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