Se fino ai primi anni del 2000 si è sempre sentito parlare di glutine in relazione alla celiachia, da lì in poi si è insinuato il dubbio nella popolazione che il glutine possa essere nocivo anche a chi non è celiaco. Partito da alcune pubblicazioni editoriali, non basate su solide evidenze scientifiche, e dalle raccomandazioni personali di alcune “gluten-free celebrities”, complici anche i media, si è fatto strada questo sentimento comune sui presunti benefici per la salute derivanti dall’evitare il glutine, come, ad esempio, la perdita di peso.
Tanto che alcuni dati affermano che in alcuni Paesi, la prevalenza di adesione a una dieta senza glutine nella popolazione adulta generale (non celiaca!) possa raggiungere il 7%.
Secondo una review pubblicata recentemente sulla rivista scientifica Foods esistono tre principali concezioni errate che inducono la popolazione generale a seguire una dieta senza glutine:
Rispetto al primo punto, è possibile sostenere, dati alla mano, che il consumo di prodotti senza glutine è improbabile che conferisca effetti benefici alla popolazione non celiaca. Sappiamo che c’è una certa probabilità che riportare sull’etichetta di un prodotto la dicitura “senza glutine” faccia percepire al consumatore una maggiore salubrità dell’alimento, specie se si tratta di un prodotto discrezionale (dolci, snack etc.). Da alcune indagini si è inoltre osservato che i prodotti senza glutine possono spesso essere più ricchi in grassi saturi, sale e zuccheri e più carenti di fibra e alcuni micronutrienti, rispetto ai corrispettivi contenenti glutine.
La popolarità della dieta senza glutine è alimentata dai suoi sostenitori che affermano che i potenziali benefici nel seguirla riguardino: un aumento di energia, un sonno migliore, una pelle più chiara, una perdita di peso più rapida e il miglioramento di condizioni mediche come l’autismo e l’artrite reumatoide. Ebbene, non esiste alcuna evidenza sperimentale pubblicata a sostegno di tali affermazioni per la popolazione generale. Al contrario, un problema associato all’evitare il glutine senza una reale necessità medica è la ridotta assunzione di cereali integrali, rinunciando così a tutti i possibili benefici dati dalla fibra nel contesto della prevenzione cardiovascolare e oncologica.
Rispetto al fatto che togliere il glutine dalla dieta aiuterebbe a perdere peso, anche qui, si tratta di un falso mito. Come già detto, i prodotti gluten free possono spesso avere un peggiore profilo nutrizionale ed essere anche più calorici. Se tuttavia, è capitato di sentire di uno o più conoscenti che iniziando a mangiare senza glutine hanno perso peso, si sappia che come nella stragrande maggioranza delle diete, porre una maggiore attenzione a ciò che consumiamo determina quasi sicuramente un minor apporto di calorie dovuto al controllo delle porzioni. Inoltre, come anche accade con la dieta “senza lieviti”, togliendo il glutine, si vanno a ridurre fortemente alimenti fonte di carboidrati, spesso quelli per cui si è portati ad esagerare nelle porzioni, come la pizza, il pane, la pasta bianca, i dolci. Normalmente non ci si dà troppo peso, ma nel momento in cui si installa il dubbio nella nostra mente che quel lievito o quel glutine, nel nostro caso, siano tossici per l’organismo ecco che si smette di consumare quei cibi con il cui consumo ci saremmo lasciati andare senza problemi.
Infine, riguardo al terzo punto preso in considerazione dalla review, cioè che la selezione delle varietà di grano abbia portato alla produzione di grani con livelli più alti di glutine, come abbiamo già discusso nell’articolo “I grani antichi sono meglio di quelli moderni?”, si può tranquillamente affermare che i livelli di glutine nel grano siano rimasti sostanzialmente invariati negli anni.
Tutta questa ingiustificata popolarità attribuita alla dieta senza glutine rischia di porre in secondo piano lo scopo per cui è nata, ossia il trattamento della celiachia. La dieta senza glutine è attualmente l’unica terapia scientificamente accertata per le persone con celiachia che deve essere seguita con rigore per tutta la vita.
L’ingestione di glutine nei soggetti celiaci, che sono geneticamente predisposti, determina una reazione immunitaria che genera un’infiammazione cronica a carico dell’intestino tenue. Questa condizione può portare a malassorbimento e sintomi come dolori addominali, diarrea e affaticamento. L’assunzione di anche piccole quantità di glutine, pur in assenza di sintomi, è in grado di provocare un danno alla mucosa intestinale. Pertanto per chi ha una diagnosi di celiachia evitare il glutine non è solo utile ma essenziale.
L’Associazione Italiana Celiachia (AIC), in una nota sull’argomento, sottolinea come la moda della dieta senza glutine abbia sminuito l’importanza di questa terapia dietetica per le persone con celiachia. L’AIC sottolinea inoltre che “adottare autonomamente la dieta senza glutine rende di fatto impossibile la diagnosi corretta di celiachia, qualora il paziente non sapesse ancora di esserne affetto, esponendosi così, in futuro, alle complicanze, anche gravi.”
Da alcuni anni si parla inoltre di una condizione che ha in comune delle caratteristiche con la celiachia, senza però un coinvolgimento dei marcatori immunitari, si tratta della “sensibilità al glutine non celiaca” o gluten sensitivity. È una sindrome caratterizzata dalla presenza, in rapporto all’ingestione di alimenti contenenti glutine, di sintomi intestinali (es. gonfiore) ed extra intestinali (es. mal di testa e dolori articolari) in persone in cui la celiachia e l’allergia alle proteine del frumento siano già state escluse. In questi soggetti si osserva un miglioramento dei sintomi con l’esclusione del glutine dalla dieta ed un peggioramento alla sua reintroduzione.
Al contrario della celiachia non ci sono alterazioni della mucosa intestinale e la diagnosi viene posta su base clinica, non esistendo al momento test diagnostici né sierologici né strumentali.
La gluten sensitivity è tuttora oggetto di dibattito scientifico, diversi autori riportano che ci sia la possibilità che altre molecole, diverse dal glutine e dalle proteine del grano, come i FODMAP (Fermentable Oligosaccharides, Disaccharides, Monosaccharides, And Polyols), possano giocare un ruolo nella sensibilità al glutine non celiaca. I FODMAP includono fruttani, galattani, fruttosio e polioli, presenti in diversi alimenti come grano, verdure, legumi e derivati del latte. La dieta a basso contenuto di FODMAP è stata sviluppata e testata per le persone con la sindrome dell’intestino irritabile o IBS da Irritable Bowel Syndrome. In diversi studi è stato appunto osservato come in quei soggetti definiti come sensibili al glutine, una dieta a basso contenuto di FODMAP migliorasse i sintomi, senza uno specifico effetto dose dipendente da parte del glutine.
Studi futuri potrebbero consentire di sviluppare una dieta su misura per questa categoria di pazienti.
In conclusione, per le persone con celiachia, evitare il glutine è indiscutibilmente benefico e necessario per la salute. Per i soggetti con la gluten sensitivity non è ancora certo il ruolo del glutine (o meglio di alcune componenti del frumento) nel peggioramento dei sintomi.
Per la popolazione generale, invece, non ci sono sufficienti prove scientifiche che dimostrino i benefici di una dieta priva di glutine. Al contrario, può comportare rischi nutrizionali se non bilanciata. La riduzione del glutine, infatti, senza indicazioni mediche non solo può essere inutile, ma anche controproducente per un corretto apporto di nutrienti, specie se adottata in autonomia.
Infine, c’è da considerare che il costo degli alimenti senza glutine è spesso più elevato rispetto ai loro equivalenti contenenti glutine, aggiungendo quindi una spesa in più senza una reale necessità.