Malattia da reflusso gastro-esofageo, gastrite, ulcera gastrica e duodenale sono patologie ben conosciute dalle popolazioni occidentali. Risultano essere piuttosto diffuse, anche se si ritiene che la gran parte delle persone che avverte una sintomatologia riconducibile a tali patologie, non sottoponendosi a visite ed esami clinici e/o strumentali sia sotto-diagnosticata. Alcune di queste patologie possono causare disturbi che compromettono la qualità di vita e che riducono drasticamente le scelte alimentari. L’alimentazione può essere un valido supporto alla terapia medica e le modifiche non solo della dieta ma dello stile di vita in generale, volte anche a ridurre sovrappeso o obesità, qualora presenti, rappresentano una parte importante nella gestione di queste patologie.
Prima di parlare delle principali patologie di esofago, stomaco e duodeno, vediamo brevemente le caratteristiche anatomiche e le funzioni di questi organi.
L’esofago è un organo cavo, che assomiglia ad un tubo, ha una lunghezza di circa 25-30 cm e mette in comunicazione la bocca con lo stomaco. È delimitato superiormente dallo sfintere esofageo superiore ed inferiormente dallo sfintere esofageo inferiore o cardias.
L’esofago consente il passaggio del bolo alimentare, ossia di quell’impasto che si forma in bocca dalla masticazione degli alimenti insieme alla saliva, dalla faringe allo stomaco. Il passaggio del bolo è garantito dalla deglutizione, un meccanismo che richiede il coordinamento di laringe, faringe ed esofago per impedire il passaggio di cibo nelle vie aeree. Durante la deglutizione il bolo viene spinto dalla lingua nella parte posteriore della bocca passando, quindi, nella faringe; qui l’epiglottide (una piccola membrana cartilaginea) ostruisce la laringe, impedendo il passaggio del bolo nelle vie aeree. A questo punto lo sfintere esofageo superiore si rilassa, permettendo il passaggio del bolo nell’esofago. Il bolo alimentare viene così spinto attraverso l’esofago tramite un’attività motoria coordinata, detta peristalsi, che si conclude con il rilasciamento dello sfintere esofageo inferiore ed il passaggio del bolo nello stomaco.
Lo stomaco è il principale organo cavo dell’addome, è una sorta di sacco a forma di “J”, è lungo circa 25 cm e viene distinto in tre porzioni: fondo, corpo e antro. Il fondo è la prima porzione subito al di sotto del cardias, un muscolo a forma di anello che funziona come una valvola per il passaggio del cibo e che lo separa superiormente dall’esofago; il corpo è la porzione maggiore dello stomaco, mentre l’antro è la parte inferiore prima del piloro, lo sfintere che separa lo stomaco, inferiormente, dalla prima porzione dell’intestino, il duodeno.
Si tratta di un organo riccamente vascolarizzato, provvisto di innervazione intrinseca (che comprende alcuni plessi nervosi all’interno della parete gastrica) ed estrinseca (tra cui terminazioni del sistema nevoso simpatico e parasimpatico).
La mucosa gastrica è caratterizzata da diverse tipologie di cellule, tra cui quelle che secernono muco, bicarbonato, acido cloridrico, precursori enzimatici deputati alla digestione delle proteine, ormoni peptidici ecc.
All’interno dello stomaco inizia la vera e propria digestione del cibo, grazie a delle importanti funzioni caratteristiche di quest’organo:
La mucosa dello stomaco secerne quotidianamente circa 1-2 litri di succo gastrico, una soluzione acquosa composta da muco, ioni idrogeno e cloro, bicarbonato, i precursori enzimatici deputati alla digestione proteica (pepsinogeno I e II) ed il fattore intrinseco (sostanza necessaria all’assorbimento della vitamina B12).
Muco e bicarbonato contribuiscono a creare la cosiddetta barriera mucosale, una sorta di protezione della mucosa gastrica dalle secrezioni acide. Queste ultime determinano un pH fortemente acido all’interno dello stomaco (pH = 2), che consente la conversione del pepsinogeno in pepsina, l’enzima che scinde le proteine alimentari in molecole più piccole, i peptidi.
Quando il bolo alimentare giunge nello stomaco, le pareti del corpo e del fondo gastrico si distendono per permettere un aumento di volume; successivamente inizia la contrazione delle pareti che consente il rimescolamento e la frammentazione degli alimenti solidi in particelle di pochi millimetri. Lo sfintere pilorico si apre ciclicamente per consentire il passaggio del bolo alimentare nel duodeno, chiudendosi immediatamente dopo per impedire il reflusso di materiale dal duodeno allo stomaco. Grazie a questo coordinamento motorio avviene lo svuotamento gastrico.
Il duodeno rappresenta la prima porzione dell’intestino tenue, che nel suo complesso è lungo circa 2,5-3 metri. Ha una forma a “C”, è lungo circa 30 cm ed è la parte fissa dell’intestino tenue. È inoltre in stretta comunicazione, tramite due dotti distinti, con la cistifellea e con il pancreas.
L’intestino tenue è la sede primaria della digestione dei nutrienti ingeriti attraverso il cibo, in cui la maggior parte di essi, inclusa l’acqua, vengono anche assorbiti. Nel duodeno il bolo alimentare viene a contatto con una secrezione acquosa proveniente dal pancreas, detta succo pancreatico, che contiene enzimi digestivi e bicarbonato. Quest’ultimo consente di abbassare il pH del bolo alimentare, azione necessaria per consentire agli enzimi del succo pancratico di agire a pH basico. Oltre al succo pancreatico, il duodeno riceve la bile, un fluido secreto dal fegato che contiene bicarbonato e sali biliari, sostanze utili per la digestione dei grassi.
Nel duodeno, oltre alla digestione, inizia anche il processo di assorbimento dei nutrienti, che avviene attraverso le cellule dell’epitelio della mucosa duodenale e che si completa nel resto dell’intestino tenue. L’intensa capacità di assorbimento dell’intestino tenue è in parte dovuta alla particolare caratteristica della mucosa che si ripiega su sé stessa in strutture denominate villi intestinali, che aumentano notevolmente la superficie di assorbimento dell’intestino. Sulla superficie apicale dei villi sono inoltre presenti delle strutture ancora più piccole, dette microvilli, che insieme costituiscono il cosiddetto orletto a spazzola che, oltre ad incrementare ulteriormente l’assorbimento dei nutrienti, contribuisce anche alla loro digestione grazie alla presenza di particolari enzimi. Orletto a spazzola e villi sono maggiormente presenti nelle prime porzioni dell’intestino, come il duodeno, e diventano meno abbondanti nelle aree più distali.
Con il termine malattia da reflusso gastro-esofageo (MRGE) si fa riferimento ai sintomi e alle lesioni conseguenti ad una anormale risalita (reflusso) di contenuto gastrico dallo stomaco all’esofago.
L’incidenza della MRGE, ossia la sua frequenza nella popolazione, è spesso paragonata ad un iceberg, in cui la parte emersa raffigura soltanto quei pazienti con tale patologia conclamata e che hanno consultato il medico. La porzione non emersa dell’iceberg, la maggiore, rappresenta invece tutte quelle persone che riportano una sintomatologia, talvolta anche cronica, riconducibile alla MRGE che, tuttavia, non ritengono necessario ricorrere ad un parere medico, affidandosi spesso all’utilizzo di farmaci in autosomministrazione e a drastiche restrizioni della dieta per il controllo dei disturbi.
Piccole risalite di contenuto gastrico in esofago, di brevissima durata, ossia di pochi secondi, si verificano quotidianamente, in maniera fisiologica, senza essere avvertite dalla persona. Quando questi episodi sono numerosi (più di 50 al giorno), di lunga durata (3-5 minuti) e determinano sintomi e/o lesioni della mucosa esofagea, si parla di MRGE.
Dal punto di vista fisiopatologico la MRGE insorge in seguito a meccanismi che riducono l’efficienza della barriera anti-reflusso, determinata principalmente dallo sfintere esofageo inferiore (SEI) e dal diaframma. Come accennato nel paragrafo dedicato ad anatomia e funzioni dell’esofago, per consentire il passaggio del cibo dall’esofago allo stomaco, lo SEI si rilascia. Nella MRGE si verificano dei rilasciamenti transitori inappropriati dello SEI, ossia non legati al passaggio di cibo nello stomaco, di conseguenza del materiale gastrico risale frequentemente in esofago. Un ulteriore fattore importante che determina la sintomatologia è l’eccessiva permanenza del materiale gastrico in esofago, a causa di meccanismi di svuotamento esofageo inefficienti. Infine, la presenza di ernia jatale, ossia lo scivolamento di una porzione del fondo gastrico in esofago o di fianco ad esso nella la cavità toracica, compromette fortemente le barriere anti-reflusso esofagee.
Diversi studi epidemiologici hanno evidenziato che un indice di massa corporea elevato risulta essere associato ad un aumentato di rischio di MRGE. In particolare, sembra che l’obesità addominale possa accrescere il rischio di reflusso attraverso un incremento della pressione intra-addominale, tuttavia tale meccanismo non è ancora stato chiaramente dimostrato.
La MRGE si manifesta prevalentemente e tipicamente con pirosi retrosternale, una sensazione di “bruciore” dietro lo sterno, e rigurgiti. Possono tuttavia essere presenti sintomi atipici di pertinenza extra-esofagea come tosse cronica, raucedine, lesioni dentarie, alterazioni delle prime vie respiratorie e dolore toracico. I sintomi atipici si presentano talvolta accompagnati da quelli tipici, talora isolati, e necessitano quindi di una diagnosi differenziale accurata, come accade, ad esempio, con il dolore toracico associato alla pirosi retrosternale, che porta spesso i pazienti a recarsi in pronto soccorso per timore di un evento cardiaco in atto.
La diagnosi di MRGE è su base clinica e può essere supportata da esami diagnostici, in particolare per i soggetti più anziani e per coloro che riportano sintomi di allarme come la perdita di peso, l’anemia e la disfagia severa (disturbo di deglutizione). In questi casi, l’esofagogastroduodenoscopia (EGDS) oltre a permettere di valutare il danno della mucosa esofagea, consente di escludere eventuali patologie maligne a carico dell’esofago e dello stomaco e di identificare altre cause benigne di sintomi d’allarme, come l’ulcera gastrica e l’ulcera duodenale. Tuttavia, l’esame di riferimento per la diagnosi di MRGE è la pH-metria esofagea delle 24 ore che monitora la frequenza e la durata degli episodi di reflusso, in relazione a pasti, postura, attività fisica e sintomi riferiti, tramite una sonda che misura i valori di pH in esofago.
L’EGDS, invece, permette di distinguere la patologia in base alla presenza o meno di lesioni della mucosa esofagea, in reflusso erosivo e non erosivo. Inoltre, durante l’esame possono essere prelevate delle biopsie per lo studio istologico delle lesioni. Attraverso l’EGDS può essere indentificata la presenza di esofagite, erosioni, ulcere, stenosi, aree di possibile metaplasia esofagea e polipi. La gravità dell’esofagite viene classificata, in base alla sua severità, secondo la classificazione di Los Angeles.
La MRGE cronica può portare ad una particolare complicanza: l’esofago di Barrett. Si tratta di una metaplasia, caratterizzata dalla trasformazione dell’epitelio caratteristico dell’esofago (epitelio squamoso) in un epitelio di tipo intestinale specializzato (epitelio colonnare). L’esofago di Barrett costituisce un fattore di rischio per l’insorgenza dell’adenocarcinoma dell’esofago, una trasformazione non più benigna come la metaplasia ma di tipo neoplastico.
La terapia della MRGE include sia norme comportamentali che una terapia farmacologica. La prima prevede che il soggetto adotti alcune accortezze che limitano il reflusso di materiale acido in esofago e comprendono:
Per contrastare gli effetti dovuti all’esposizione dell’esofago all’acido gastrico, esistono due classi di farmaci: gli antagonisti dei recettori H2 e gli inibitori di pompa protonica, che riducono la produzione di acido dello stomaco.
Tuttavia, in virtù del fatto che una parte di pazienti non risponde adeguatamente alla terapia con questi farmaci e che la loro efficacia clinica è ridotta nella malattia non erosiva, spesso ne vengono impiegate altre tipologie come antiacidi, alginati e farmaci procinetici.
Gli inibitori di pompa protonica (omeprazolo, lansoprazolo, pantoprazolo, esomeprazolo, rabeprazolo) sono molto noti, rappresentano spesso la prima scelta per il trattamento della MRGE e sono impiegati con lo scopo di ridurre l’acidità del contenuto gastrico che refluisce in esofago. La loro azione è mirata alle pompe protoniche disseminate nella mucosa gastrica, risultando nell’inibizione dell’enzima che secerne acido cloridrico; in questo modo si riduce drasticamente la secrezione acida gastrica.
Sono farmaci estremamente efficaci e sicuri, proprio per questo in Italia se ne fa un largo impiego, non solo per la MGRE ma anche per altre patologie del tratto gastro-intestinale superiore, nonché come “gastro-protettori” in associazione a farmaci anti-infiammatori. È importante però che la loro assunzione non sia prolungata, a meno che non sia stata prescritta dal medico curante o dal gastroenterologo, in quanto potrebbero comportare un aumentato rischio di altre patologie e/o disturbi. Inoltre, la ridotta acidità gastrica a lungo termine può compromettere l’assorbimento di alcuni nutrienti tra cui vitamina B12, ferro, calcio e magnesio.
Oltre alle norme comportamentali e alla terapia farmacologica, esiste inoltre, ma solo per pazienti con esofagiti di grado importante o altre complicazioni come emorragie e stenosi, una terapia chirurgica anti-reflusso, la fundoplicatio che si esegue per via laparoscopica. Nella procedura di Nissen-Rossetti viene utilizzato il fondo gastrico per circondare esternamente l’esofago nel tratto inferiore, questo determina un aumento della pressione a livello dello sfintere esofageo inferiore e quindi una notevole riduzione del reflusso di materiale gastrico in esofago.
Un corretto stile di vita ed una dieta adeguata, migliorano la sintomatologia della MRGE ed, inoltre, potrebbero consentire di limitare o ridurre l’uso dei farmaci, decisione che comunque spetta al medico curante o al gastroenterologo.
Come regole generali è essenziale:
Alcuni alimenti sono noti per determinare una riduzione del tono dello sfintere esofageo inferiore e/o stimolare la secrezione acida:
Nella maggior parte degli studi osservazionali, condotti su ampie popolazioni, è emerso che l’assunzione di tali alimenti si associava ad un peggioramento dei sintomi nei pazienti con MRGE, tuttavia la forza dell’evidenza di tali associazioni è risultata piuttosto scarsa. Al contrario vi è una discreta evidenza che associa pasti con un grande volume e ad elevato contenuto calorico ad aumento di reflusso esofageo.
È bene precisare che tali alimenti non causano un danno diretto ma possono aggravare la sintomatologia patologica, tuttavia, spesso, la sensibilità a tali alimenti potrebbe essere soggettiva. Pertanto, quello che viene consigliato ai pazienti, in virtù della letteratura recente, è di verificare quali alimenti peggiorano i sintomi e limitare o evitare solo quelli. Tenere un diario alimentare in cui annotare la comparsa dei sintomi può essere utile ad individuare cibi e alimenti meno tollerati.
Attenersi, invece, alle regole comportamentali generali (evitare di coricarsi dopo aver mangiato, non fumare ecc.) e a quelle riferite ai pasti (non troppo abbonanti ed ipercalorici) e soprattutto perdere peso se in eccesso, può risultare un supporto molto valido nella gestione dei sintomi.
Non esiste pertanto una “dieta anti-reflusso” valida per tutti i pazienti con MRGE, specie se proposta su fogli prestampati privi di personalizzazioni e precisazioni. L’alimentazione di questi soggetti, infatti, deve essere adeguata allo stile di vita, alla personale tolleranza a determinati alimenti e mirata ad una riduzione del peso corporeo, se è presente sovrappeso o obesità.
L’infezione da H. pylori è una malattia molto diffusa a livello globale, in Italia si ritiene che colpisca circa 1/3 degli adulti. L’infezione può rimanere asintomatica in un’elevata percentuale di pazienti, tuttavia la presenza del batterio determina una gastrite cronica attiva che può portare all’evolversi di lesioni precancerose (metaplasia intestinale, displasia). All’infezione da H. pylori si associano, oltre alla gastrite, anche ulcere gastriche o duodenali e alcune forme di tumore gastrico.
H. pylori è capace di crearsi una cosiddetta nicchia ecologica: si annida nello strato di muco che protegge la mucosa gastrica e produce un enzima che determina la produzione di ammoniaca; grazie a queste proprietà è in grado di proteggersi dagli acidi dello stomaco e di proliferare indisturbato, inoltre tramite la capacità di movimento, data dai flagelli, riesce a penetrare lo strato di muco, raggiungendo l’epitelio gastrico e causando lesioni.
La presenza di H. pylori può essere accertata:
Questi ultimi hanno un’efficacia, in termini di sensibilità e specificità, inferiore all’urea breath test e all’analisi istologica delle biopsie, che è per entrambi i test superiore al 95%.
La terapia eradicante di H. pylori è estremamente importante per evitare le complicanze date dalla sua infezione, tra cui il carcinoma gastrico. Per l’eradicazione esistono diversi protocolli farmacologici, che possono durare all’incirca 2 settimane, di cui il più noto è la triplice terapia che prevede inibitori di pompa protonica più somministrazione di due tipologie di antibiotici. Dal momento che H. pylori è un batterio piuttosto resistente, può essere prescritto più di un ciclo antibiotico terapeutico; ad ogni modo la scelta del trattamento più appropriato avviene secondo algoritmi terapeutici specifici, valutati dal medico di base o dallo specialista.
Comunemente le persone utilizzano il termine gastrite per far riferimento ad una difficoltà digestiva o a un “bruciore di stomaco”. La gastrite è invece un’infiammazione della mucosa gastrica e può quindi essere rilevata solo attraverso endoscopia con esame istologico delle biopsie tramite esofagogastroduodenoscopia (EGDS). Le gastriti possono essere suddivise in gastriti acute e croniche.
Caratteristiche
La gastrite acuta è un’infiammazione severa e diffusa della mucosa gastrica, talvolta associata a lesioni erosive o emorragiche.
Le principali cause che possono determinare una gastrite acuta sono:
I FANS rappresentano la causa maggiore di gastrite acuta, in cui il danno alla mucosa gastrica è determinato da una riduzione nella produzione di muco e bicarbonato, per via dell’inibizione dell’attività di un particolare enzima. Questo evento indebolisce la mucosa gastrica che si trova esposta all’azione lesiva degli acidi. Oltre all’importante infiammazione risultante, è comune il riscontro di emorragie ed erosioni. Le lesioni regrediscono sospendendo il trattamento con i FANS e iniziando una terapia con gli inibitori di pompa protonica, farmaci impiegati per ridurre drasticamente la secrezione acida gastrica.
Sintomatologia
La gastrite acuta provoca una sintomatologia importante che comprende dolore e bruciore intenso epigastrico (nella zona centrale superiore dell’addome), nausea e vomito. In presenza di fenomeni erosivi/emorragici possono verificarsi anche: vomito con sangue, sangue nelle feci e anemia.
Caratteristiche
La gastrite si definisce cronica quando il processo infiammatorio a carico della mucosa gastrica persiste nel tempo. Al reperto istologico si identifica un infiltrato di cellule infiammatorie, costituito principalmente da linfociti, plasmacellule e macrofagi.
Le gastriti croniche possono essere distinte in atrofiche e non atrofiche, entrambe accomunate dalla presenza di infiltrato infiammatorio. Nelle gastriti non atrofiche l’infiltrato infiammatorio è presente sulla superficie della mucosa (sono altrimenti dette gastriti superficiali), mentre in quelle atrofiche l’infiammazione si estende in profondità nella mucosa ed è associata a perdita delle strutture ghiandolari gastriche che vengono sostituite da ghiandole della mucosa intestinale (metaplasia intestinale) o da tessuto connettivo (fibrosi).
La causa più frequente di gastrite cronica è l’infezione da parte del batterio Helicobacter pylori, più raramente si possono rilevare gastriti conseguenti ad altre patologie o su base autoimmune (in cui il sistema immunitario, a causa di una disfunzione, attacca i propri tessuti).
Sintomatologia
Le gastriti croniche, a differenza di quelle acute, possono essere asintomatiche o responsabili di una sintomatologia piuttosto variabile che può includere dispepsia (difficoltà digestiva), pirosi gastrica (bruciore di stomaco), sazietà precoce e sensazione di pienezza dopo i pasti. Nelle gastriti atrofiche può essere frequente il riscontro di un malassorbimento di vitamina B12 e ferro, con conseguente anemia.
La diagnosi di qualsiasi forma di gastrite è unicamente istologica e risulta, quindi, dalla valutazione istologica dei campioni di mucosa gastrica (biopsie), prelevati durante l’esame strumentale EGDS.
Le complicanze di una gastrite non trattata possono includere:
Una diagnosi precoce ed un adeguato trattamento dell’infezione da H. pylori possono prevenire lo sviluppo di alcune tipologie di tumore gastrico.
Escluse le forme gravi di gastrite acuta che possono richiedere l’ospedalizzazione, il trattamento della gastrite è volto alla correzione dei sintomi e/o all’eliminazione dell’agente causale, come nel caso delle gastriti da FANS e di quelle causate da infezione da H. pylori.
La terapia può quindi spesso prevedere l’uso di farmaci per il controllo della secrezione acida, ossia inibitori di pompa protonica (omeprazolo, lansoprazolo, pantoprazolo, esomeprazolo, rabeprazolo) e antagonisti dei recettori H2. L’azione degli inibitori di pompa protonica, i più diffusamente impiegati, è mirata alle pompe protoniche disseminate nella mucosa gastrica tramite l’inibizione dell’enzima che secerne acido cloridrico, in questo modo si riduce drasticamente la secrezione acida gastrica.
Se è stata riscontrata un’infezione da H. pylori sarà prescritta una terapia eradicante che prevede oltre agli IPP, una combinazione di più antibiotici secondo diversi schemi terapeutici.
La terapia della gastrite può inoltre essere affiancata alla gestione dei sintomi del paziente e può quindi prevedere farmaci procinetici e antiacidi.
In alcuni casi di gastrite cronica atrofica è possibile che si renda necessaria la somministrazione per via parenterale (direttamente nel circolo sanguigno) di vitamina B12 e/o ferro.
La terapia dietetica della gastrite ha l’obiettivo di evitare un eccesso di:
Alcuni tra alimenti e bevande come alcol, caffè, tè, bevande gassate, latte, cioccolato, fritture, spezie e alimenti piccanti possono contribuire ad un peggioramento dei sintomi dispeptici. Tuttavia, non è dimostrato che l’eliminazione di tali alimenti possa dare un reale contributo al miglioramento della patologia, che avviene principalmente grazie alla terapia farmacologica, in particolare quella volta all’eradicazione di H. pylori.
Una dieta sana, di stampo mediterraneo, che non preveda pasti troppo abbondanti ma, piuttosto, piccoli e frequenti, evitando digiuni, può essere un valido supporto alla gestione dei sintomi. Eccessive restrizioni della dieta possono invece essere controproducenti, soprattutto negli anziani, causando disturbi nutrizionali. L’alimentazione deve essere semplice, attraverso l’impiego di alimenti scarsamente processati e delle tipologie di cottura più sane.
L’ulcera peptica è una lesione a carico della parete gastrica o di quella duodenale che, a differenza delle erosioni superficiali che si possono riscontrare nelle gastriti atrofiche e che riguardano solamente lo strato mucoso, si estende fino agli strati più profondi come quello sottomucoso, muscolare o talvolta fino alla sierosa. Le lesioni ulcerose possono avere dimensioni da diversi millimetri a vari centimetri.
Si ritiene che la prevalenza dell’ulcera peptica, nei paesi industrializzati, sia di circa il 5-10%. L’infezione da H. pylori è la principale causa di ulcera, responsabile indicativamente dell’85-90% dei casi di ulcere duodenali e del 70-80% di quelle gastriche. Un altro importante fattore eziologico, in particolare per l’ulcera gastrica, è rappresentato dall’uso di farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS). Altre cause minori possono essere: l’uso di altri farmaci gastrolesivi (cortisonici, chemioterapici), alcune infezioni virali, l’ipersecrezione acida gastrica provocata da gastrinoma e la radioterapia. Inoltre, il fumo è un fattore di rischio accertato per lo sviluppo di ulcera nonché delle sue complicanze, in quanto compromette i processi di guarigione delle lesioni. Riguardo al ruolo dell’alcol, sebbene vi siano evidenze sperimentali di un effetto lesivo acuto sulla mucosa gastrica, mancano dati che correlino in modo definitivo il consumo di bevande alcoliche con lo sviluppo di ulcere.
In passato si riteneva che anche la dieta potesse avere un ruolo nella patogenesi dell’ulcera, tuttavia non vi sono evidenze scientifiche conclusive in merito. Alcuni studi epidemiologici riportano una minore incidenza di malattia ulcerosa nelle popolazioni che assumono cibi ricchi di fibra e a scarso contenuto di sodio.
I sintomi dell’ulcera possono variare in base alla localizzazione (gastrica o duodenale) e in alcuni casi possono anche essere scarsi o per nulla presenti. Il sintomo principale è il dolore in sede epigastrica (zona centrale superiore dell’addome) descritto come sordo, talvolta urente (che causa bruciore).
Nell’ulcera gastrica il dolore è ricorrente e talvolta è irradiato posteriormente. Compare a digiuno e l’assunzione di cibo non sempre lo diminuisce. In alcuni casi sono presenti anche nausea, vomito, una lieve perdita di peso e anemia. La presenza di sangue nelle feci può essere indice di emorragia gastrica.
L’ulcera duodenale è caratterizzata da un andamento della sintomatologia dolorosa ricorrente, molto variabile da acuto e urente a sordo. Spesso viene alleviato dal cibo ma tende ad insorgere nuovamente circa 2-3 ore dopo i pasti. Tipico è anche il risveglio notturno del paziente, causato dal dolore.
La diagnosi di ulcera gastrica o duodenale è suggerita dalla sintomatologia e confermata dall’endoscopia (EGDS), nel corso della quale vengono prelevati dei campioni di mucosa gastrica (biopsie) per la valutazione istologica, utile anche per rilevare l’eventuale presenza di infezione da H. pylori.
Le complicanze principali della malattia ulcerosa sono rappresentate da:
Ulcera gastrica e duodenale condividono lo stesso approccio terapeutico, che richiede:
L’efficacia dell’attuale terapia farmacologica ha comportato enormi progressi rispetto ad alcuni decenni fa (anni 70-80 del novecento), consentendo di controllare prontamente la sintomatologia dolorosa e di incrementare i tassi di guarigione, senza la necessità di ricorrere alla chirurgia. Le indicazioni per un trattamento chirurgico comprendono la perforazione, l'ostruzione, il sanguinamento incontrollabile o ricorrente e, sebbene rari, i sintomi che non rispondono alla terapia farmacologica.
Fino agli anni 70-80 del novecento, quando non era noto il principale agente causale dell’ulcera, l’Helicobacter pylori, e le terapie farmacologiche non erano quelle attuali, alla dieta veniva attribuito un ruolo importante, sia come fattore eziologico che terapeutico. La dieta che veniva prescritta era “in bianco”, con pasti leggeri e frequenti ed una lunga lista di alimenti proibiti. In passato era fortemente enfatizzato il ruolo del latte, frequentemente consigliato durante la giornata ai pazienti con ulcera, in quanto si riteneva potesse avere un effetto “tampone” sull’acidità gastrica. Questo effetto tampone è però transitorio e ad esso segue una potente e prolungata stimolazione delle secrezioni gastriche, causata dal contenuto di proteine e di calcio.
Ad oggi si può affermare che le diete in bianco, spesso con un contenuto eccessivo di proteine e grassi, non trovano spiegazioni convincenti di un possibile ruolo protettivo/curativo dell’ulcera, né una validità dal punto di vista nutrizionale.
Considerando che, alla luce delle conoscenze attuali, non ci sono prove che un cambiamento della dieta acceleri la guarigione dell’ulcera o ne prevenga la recidiva, le raccomandazioni dietetiche per i soggetti con ulcera possono essere sovrapponibili a quelle per la gastrite:
Alimenti e bevande come tè, caffè, cioccolato, cibi fritti, cibi speziati e latte possono stimolare la secrezione acida gastrica o peggiorare la sintomatologia dispeptica; se causano fastidi vanno ridotti o eliminati.
Le informazioni contenute in questo testo hanno esclusivamente uno scopo divulgativo e potranno essere modificate e/o rimosse in qualsiasi momento. In nessun modo, inoltre, intendono formulare diagnosi e/o prescrivere trattamenti. Di conseguenza, nessuna delle indicazioni presenti in questo approfondimento intende e/o può sostituire il rapporto diretto tra medico e paziente.
Raccomandiamo a tutti e, in particolare, a chi è affetto da una o più patologie, di rivolgersi sempre al proprio medico curante e/o agli altri specialisti sanitari di settore, prima di assumere integratori, farmaci, seguire particolari diete e/o programmi di allenamento sportivo.
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