L’indice glicemico indica solo la qualità dei carboidrati ma non considera la quantità degli stessi né l’impatto dell’intero pasto sulla glicemia. Esso quindi rappresenta un utile parametro per fare delle scelte alimentari corrette ma risulta incompleto.
Questa affermazione è parzialmente corretta, per capire il perché occorre partire dalla definizione di indice glicemico (IG). L’ IG indica l’incremento della glicemia, cioè degli zuccheri nel sangue, a seguito dell’ingestione di una porzione di quell’alimento rispetto ad uno di riferimento (glucosio o pane bianco), a parità di contenuto di carboidrati. Sembra complicato ma non lo è.
Ad esempio, 50 g di carboidrati contenuti in una porzione di 100 g di fagioli secchi (alimento a basso indice glicemico) hanno un minor impatto sulla glicemia rispetto allo stesso quantitativo di carboidrati contenuti in una fetta di pane di 90 g (alimento ad elevato indice glicemico).
Evitare brusche oscillazioni della glicemia significa tenere sotto controllo i livelli di insulina, un ormone prodotto dal pancreas che se presente in eccesso facilita l’accumulo di grasso e, viceversa, ostacola la perdita di peso.
L’indice glicemico (IG) tiene conto solo della qualità dei carboidrati mentre la risposta glicemica ad un alimento è influenzata anche dalla quantità di carboidrati, per questo motivo è stato introdotto un altro indice chiamato “Carico Glicemico” (CG). Per capire bene facciamo un esempio.
Il cocomero ha IG alto (72) ed in una porzione media da 150 g ci sono 5,5 g di carboidrati.
Il riso integrale invece ha IG basso (50) ed una sua porzione media da 80 g contiene ben 65 g di carboidrati.
Per calcolare il CG occorre fare questo calcolo:
(g di zucchero nella porzione di alimento x IG di quell’alimento) / 100
Ne deriva che:
Una porzione di riso integrale pur avendo IG più basso del cocomero ha un CG otto volte maggiore e, più alto è il carico glicemico, più importante è il conseguente innalzamento dei livelli glicemici e il rilascio di insulina nel sangue.
Significa quindi che l’indice glicemico va sì considerato, ma non basta se non si tiene presente anche la quantità di zuccheri totali di una porzione di quell’alimento.
Si rischia altrimenti di evitare totalmente alimenti ad alto IG che tuttavia, se consumati in moderate quantità, non impattano negativamente sulla glicemia e, viceversa, consumare grandi quantità di alimenti a basso IG che possono però contenere grandi quantità di carboidrati.
Non basta ancora. Il concetto di IG e CG andrebbe esteso all’intero pasto, alle modalità di cottura e conservazione, all’associazione con altri alimenti.
Ad esempio, considerando un piatto ad alto CG, come quello a base di patate, è possibile, consumandole cotte al vapore anziché bollite, mangiandole fredde anziché appena cucinate e abbinandole ad una sufficiente quantità di verdure, ottenere un pasto che nel complesso non avrà un effetto negativo sulla glicemia, pur essendo costituito da un alimento che avrebbe potuto essere escluso a priori se se ne fosse considerato esclusivamente l’indice glicemico.